Il progetto artistico “Sa Sartiglia”
Sa Sartiglia è il progetto artistico di Nicola Marongiu che celebra la tradizione oristanese e i suoi archetipi. Protagonista è la Sardegna nelle sue infinite sfaccettature, svelate attraverso l’unicità di ciascuna opera, dal particolare all’universale. Per la realizzazione del primo ciclo di opere del progetto Sa Sartiglia, Nicola Marongiu ha collaborato con l’artigiano Alfonso Canfora. Per conoscere i dettagli della collaborazione con Alfonso Canfora e le opere della collezione entra nella sezione
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Sardegna Tempio delle Acque di Nicola Marongiu è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale. Based on a work at https://sasartiglia.com. Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso https://sasartiglia.com
Dalla Sartiglia al culto dell’Acqua
Preistoria, storia, contemporaneità
Viaggio tra i luoghi, i riti e le tradizioni della Sardegna attraverso uno sguardo che arriva ad esplorarne le radici arcaiche, oltre le maschere del Carnevale.
Le connessioni tra i diversi personaggi ed i combattimenti rituali che animano il Carnevale sardo e i miti di Morte e Resurrezione che ritroviamo nei riti di Adone in Siria, Dioniso in Grecia, Baal in Canaan, Osiride in Egitto, Tammuz in Babilonia; “Carnevale” (Carnasciale, Carrasciale, Carresegare), nella sua accezione di “dissacrazione-sommersione del Potere”; la Sartiglia di Oristano, osservata fino alle sue origini, prima dell’intervento di re-impostazione ad opera degli Spagnoli, rivela il ruolo del Cumponidori come Sciamano, Estatico, Profeta (“colui che fa sgorgare acqua dai cumuli-nembi”).
I pozzi sacri nuragici, le fonti “miracolose” come quelle di San Leonardo di Siete Fuentes vicino a Santu Lussurgiu, accanto alle quali i Templari costruirono la chiesa che oggi conosciamo e un ospedale, proprio in virtù delle peculiari qualità delle acque del luogo. I particolari tipi di pane della Sardegna: ad esempio, Su Pani de is Bagadius (Siurgus Donigala), che viene portato oggi in processione come Cristo Morto sulla Croce, trova le sue origini nei riti dedicati al dio Adone. Le sacerdotesse e i sacerdoti, nonché le varie personificazioni del Dio della Natura, trasformati nel tempo e giunti fino ai nostri giorni, capovolgendone la valenza, come “diavoli” (ad esempio Maimòni/Maimòne, Cambilargiu, Brutu, Mascazzu, Leunardu, Musteddìnu/Boe Muliake). Tutto è legato al medesimo culto: il Culto dell’Acqua.
La Sardegna, splendida meta di vacanza ma soprattutto luogo sacro, nel senso più profondo del termine, terra ricca di testimonianze che sta a noi preservare, curare e saper collegare tra loro per arrivare all’Essenza: il pozzo sacro, il nuraghe, la domu de jana, i Giganti di Mont’ e Prama, così come ogni ogni singolo lemma, espressione, tradizione e toponimo sardo, sono il nostro Tesoro.
Performance Art
Le installazioni visibili già in questa anteprima del documentario, sono parte del progetto artistico “Sa Sartiglia”, e sono state realizzate con alcune delle 33 opere del primo ciclo nato dalla collaborazione tra Nicola Marongiu e Alfonso Canfora.
Ciascuna opera ha un proprio nome ed è plasmata in materiali connessi o ispirati a elementi, archetipi, toponimi, usi e riti che dal particolare portano all’universale.
I luoghi-simbolo scelti per queste prime installazioni sono:
Pozzo Sacro di Sardara, sito nell’area archeologica di Sant’Anastasia
Spiaggia di Maimòni, Cabras
San Leonardo di Siete Fuentes, Santu Lussurgiu
Monte Arci
Nuraghe Losa, Abbasanta.
Immagini “Sa Sartiglia”
Alcune Opere del progetto artistico “Sa Sartiglia”, protagoniste delle installazioni che hanno preso vita nei luoghi simbolo della Sardegna Tempio delle Acque, in un’anteprima del “making of” del documentario.
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Sardegna Tempio delle Acque: Oltre le maschere del Carnevale
La Sardegna è famosa anche per i Pozzi Sacri, non solo per i Nuraghi, per le Tombe dei Giganti e così via. I Pozzi Sacri la caratterizzano, rispetto a molti territori del resto d’Europa e del vicino Oriente.
In realtà noi sappiamo, dalle ricerche archeologiche e antropologiche, che la cultura dell’Acqua e perciò la “sacralità” dell’Acqua, apparteneva a tutta l’Europa, perciò anche alla Sardegna e al vicino Oriente. Per esempio, nel 1365 arrivò a Cagliari una famiglia di un ebreo chiamato “Maimone”; ma ci sono anche altri nomi di ebrei, Maimonide e così via, che si rifanno sempre alla parola ebraica “Maim”, “acqua”.
“Maimòne” significa, letteralmente, in semitico: “Tempio delle Acque”. Infatti lo ritroviamo non solo nei personaggi carnevaleschi sardi, ma lo troviamo anche nel territorio chiamato “Mamone”, in Sardegna, che è il sito dove nasce il Tirso. Allora, “Maimòne” cosa significa? L’origine del nome la ritroviamo nella lingua ebraica “maim” che significa “acqua”. In accadico abbiamo la parola “māmū”, per dire “acqua”.
E siamo arrivati definitivamente all’acqua, all’acqua legata al Carnevale. Intanto diamo l’interpretazione di “Abba”, in sardo: “Abba” viene dal sumerico “a’abak ” che significa “acqua del mare” oppure “a-ab-ba”, ugualmente significa “acqua del mare”.
Bisogna intenderla, questa parola, perchè l’acqua del mare viene considerata “l’Acqua primordiale del Cosmo”, quella da cui poi hanno preso vita tutti gli esseri. Ecco perchè questa importantissima parola sarda “Abba”, che è relativa all’acqua di mare più che all’acqua di fiume. Però noi abbiamo anche una parola che ci ricollega all’ acqua dolce; il cognome Mu, per esempio, in Sardegna è uguale all’ accadico “mû” , “acqua”. Ora veniamo a “su Carrasegare” in Sardegna, o al “Carnevale” in Italia. Il “Carnevale” viene detto dagli antropologi il “mito dell’ eterno ritorno”, cioè rievoca il Chaos a cui segue l’ordine: il Cosmos.
Per questo vi si celebrano, appunto, i riti di Morte e Risurrezione. I riti di Morte e Risurrezione riguardano un po’ tutto il Mediterraneo e anche il Medio Oriente. Sono rappresentati dal mito di Adone in Siria/Fenicia, dal mito di Attis in Frigia, dal mito di Dioniso in Grecia, dal mito di Ba’lu in Canaan, dal mito di Osiride in Egitto, di Tammuz a Babilonia, di Mascazzu in Sardegna e il mito di Arlecchino in Italia.
Carnevale, Carnasciale in italiano, Carrasciale in sardo, hanno tutte più o meno lo stesso significato. Sono parole antichissime che ritroviamo in composti accadici: “Carresegare” viene dall’ accadico “qarnu(m)+ seḫu”, letteralmente, che significa “dissacrazione del potere”.
La parola italiana “Carnevale” da “qarnu(m) + (w)âru(m)”, sempre in accadico, “andare contro il potere”. “Carnasciale”, sardo “Carrasciale”, da “qarnu(m) + šalû(m)”: “sommergere, annegare il potere”. Questa idea, questo concetto della “sommersione”, dell'”annegamento del potere”, torna comodo per poter parlare poi della Sartiglia e dei carnevali sardi in generale.
La Sartiglia non è nata, come suol dirsi, in periodo spagnolo. La Sartiglia è una forma di Carnevale, è un palio. “Sartiglia” ha una base sumerica, deriva dal sumerico “šar” (cerchio) + “til “(palo). Letteralmente significa “cerchio del palo”, “šartil”. “Kuppu-nīdu-ri” significò letteralmente “colui che fa sgorgare acqua dai cumuli-nembi”.
Perciò qui ritroviamo la vera natura di Su Cumponidori. Su Cumponidori sappiamo che prima di iniziare la corsa va a cavallo, quasi benedicendo la folla, tenendo in mano quella che vien chiamata “Pippìa de Máju”. Allora cerchiamo di interpretare queste parole. Interpretiamo prima di tutto la parola “Máju”. Sa pippìa “de Máju” è letteralmente la pippìa “dell’Estatico, del Profeta, dello Sciamano”: “Maḫḫu”, veniva detto. Perciò “Máju” indica proprio “Su Componidori” che agisce in quel momento come uno sciamano che benedice la folla, torniamo al concetto di battesimo o benedizione… sono concetti addirittura paleolitici. In realtà, “su maccu” in origine era colui che aveva il potere di interferire, di legare la Terra con il Cielo: era lo Sciamano, il potente che operava la sacralità a vantaggio del popolo che ne aveva bisogno.
“Pippìa”, a sua volta, è una ripetizione: “pī-pīum” che significa “apertura, sorgente di fiume”, letteralmente. Per cui “sa Pippìa de Máju” letteralmente significa “apertura delle sorgenti celesti ad opera del profeta” – Pippìa de Máju. Una forma del genere la troviamo a Pozzomaggiore, dove c’è “sa Pippìa ‘e Mannaghe”, che viene portata in processione durante la siccità. “Mannaghe” significa letteralmente: “inno-incantesimo della pioggia”.
Tutti gli incantesimi, anticamente, venivano fatti tramite inni cantati. Tutto ciò che riguardava il sacro veniva cantato, nell’alta antichità. Ora sappiamo che anche questo “mannaghe” ha un significato ben preciso, legato a “sa pippìa”.
Veniamo al significato di “Maimòne”: Maimòne che è sempre collegato con l’Acqua. Lo ritroviamo, questo personaggio, nel Carnevale di Oniferi: è un “fantoccio” trasportato su un asino e munito di ampie corna caprine. Si copre il viso con una pala di fico d’India. Ora, è difficile interpretare la pala di fico d’India se non pensando che la pala di fico d’India, in pieno inverno – quando c’è il Carnevale- , è ricchissima di acqua. Perciò il fico d’India, come sappiamo, è un serbatoio d’acqua e forse, non a caso, serve a mimare una maschera ad Oniferi.
Noi abbiamo i combattimenti rituali del Carnevale. Nei rituali barbaricini normalmente si vede un uomo legato al laccio che viene pungolato o colpito o bastonato dal suo aguzzino; anche questi combattimenti rituali del carnevale li possiamo ritrovare tranquillamente in Babilonia rievocanti la lotta di Marduk contro Tiamat, cioè la lotta del Cosmos contro il Chaos.
Le maschere ci sono sempre state e possono essere, appunto, anche visuali. Ne abbiamo di ogni tipo, specialmente nella tradizione italica. Mircea Eliade, etnologo e antropologo, dice che le maschere non sono altro che i morti che ritornano, che ritornano sempre per minacciare il Cosmos, l’ordine dei vivi.
Ma se noi andiamo all’etimologia della parola Mascara – in italiano è maschera, in sardo Mascara – è una parola sumerica che indica l’indirizzare parole pure, schiette. Cioè la maschera consentiva di parlare schiettamente a chiunque, anche al proprio padrone.
Tra il Carnevale, tra i riti adonii, tra la rappresentazione di molti pani a iniziare da quello “de is Bagadíus” a Siurgus, non ci sono molte differenze. Così come non ci sono molte differenze in relazione ai Pozzi Sacri, perchè si trattò sempre del Culto di Adone e del Culto dell’Acqua: un culto, peraltro, espanso in tutta l’Europa e nel Vicino Oriente. In certi posti perchè l’acqua era poca e bisognava venerarla; in altri posti perchè, pur essendo molta, ha consentito all’uomo non solo di vivere perchè era la base della vita – è la base della vita – ma anche, molto spesso, di guarire.
Noi abbiamo, per esempio, “San Leonardo di Siete Fuentes”, dove i Templari, addirittura!, costruirono un ospedale, oltre che la chiesa. La costruirono proprio accanto alle acque di San Leonardo, che erano acque benedette, miracolose. “Leunardu” è l’altro nome che viene dato al diavolo-bambino chiamato “Andrìa”: Andrìa o Leunardu è la stessa cosa, secondo i paesi. Indica il mese di Novembre, “Andrìa”, il mese più piovoso.
“Le’ûnārtû”, a sua volta, tradotto letteralmente significa: “colui che domina l’acqua con gli incantesimi”, Leunardu. Il discorso si chiude ad anello, perchè ritorniamo sempre alla sacralità dell’acqua, alla sacralità dell’acqua che il Carnevale ancora conserva in tutti i suoi personaggi, o in quasi tutti i personaggi.
testo di Salvatore Dedola, dal documentario “Sardegna Tempio delle Acque“