Approfondimenti
L’Agnello, l’Uovo, l’Olivo: sai davvero cos’è la Pasqua?
Giordano Bruno
Io, misero peccatore, dico la mia colpa, dico la mia gravissima colpa, in conspetto de l’intemerata absoluta giustizia, e vostro, che sin al presente ho molto gravemente peccato, e per il mal essempio ho porgiuta ancor a voi permissione e facultà di far il simile; e con questo confesso che degnamente io insieme con voi siamo incorsi il sdegno del fato, che non ne fa piú essere riconosciuti per dei, e mentre abbiamo a le sporcarie de la terra conceduto il cielo, ha dispensato ch’a noi fussero cassi gli tempii, imagini e statue, ch’avevamo in terra; a fine che degnamente da alto vegnano depressi quelli, quali indegnamente han messe in alto le cose vili e basse. Oimè, dèi, che facciamo? che pensiamo? che induggiamo? Abbiamo prevaricato, siamo stati perseveranti ne gli errori, e veggiamo la pena gionta e continuata con l’errore. Provedemo, dunque, provedemo a’ casi nostri; perché, come il fato ne ha negato il non posser cadere, cossí ne ha conceduto il possere risorgere; però come siamo stati pronti al cascare, cossì anco siamo apparecchiati a rimetterci su gli piedi. Da quella pena nella quale mediante l’errore siamo incorsi, e peggior della quale ne potrebe sopravenire, mediante la riparazione, che sta nelle nostre mani, potremo senza difficultade uscire. Per la catena de gli errori siamo avinti; per la mano della giustizia ne disciogliamo. Dove la nostra levità ne ha deprimuti, indi bisogna che la gravità ne inalze. Convertiamoci alla giustizia, dalla quale essendo noi allontanati, siamo allontanati da noi stessi; di sorte che non siamo piú dèi, non siamo piú noi. Ritorniamo dunque a quella, se vogliamo ritornare a noi.
Tratto da Spaccio de la bestia trionfante, Giordano Bruno; qui il link all’opera completa in pdf.
SIMBOLOGIA: OLIVO, AGNELLO E UOVO
(…) Questi tre simboli, pur venendo ad acquistare nel progresso dei tempi valori nuovi – specie di ordine morale – non hanno perso o comunque sminuito i valori primitivi, cosicchè per mezzo di essi è dato a noi di risalire alla significazione primordiale della Festa di Pasqua.
L’Olivo che nell’antichità classica fu l’albero sacro alla Dea della Saggezza, Atena o Minerva, fu ognora simbolo di pace. Così fu considerato in Roma antica, così attraverso tutte le età, dai giorni nostri risalendo all’epoca del racconto biblico, ove è detto avere la colomba annunziato a Noè la liberazione dall’arca, portando a lui nel becco un ramoscello di olivo.
Nella pace la vita si sviluppa con forza ed armonia: opportunamente quindi con il simbolo dell’olivo si ricordava la condizione per cui soltanto il trionfo del Sole poteva essere fecondo e il sacrificio della Madre-terra, che liberava i suoi doni dal seno e il offriva ai figli, poteva effettuarsi.
Ma l’olivo è pure l’albero simbolo della forza, che nel sacrifizio dà, genera e conserva. È superfluo ricordare come la parola “sacrifizio” abbia qui il senso più puro e genuino non già di sofferenza ma di offerta e di donazione libera e spontanea in atto di verace amore. (…) Da questo frutto viene espresso il liquido che può nutrire la fiamma, ardendosi, e lenire le piaghe, ungendole di sè. Tale deve essere il sacrifizio di chi ha posto il piede nel sentiero della perfezione: saper diventare la fiamma che illumina e riscalda, la dolcezza che lenisce le ferite e ridona la salute.L’Agnello, considerato ora prevalentemente sotto l’aspetto secondario e derivato di simbolo morale significante dolcezza e mansuetudine, fu all’inizio l’ostia vera e reale del sacrifizio celebrativo esaltante la risurrezione primaverile.
Il valore morale del simbolo, in quanto allude alla dolcezza e alla mansuetudine, è certo grande, sempre che non si ecceda a fare della mansuetudine e della dolcezza degli equivalenti a supinità e ad adattabilità vigliacca.
Quest’interpretazione del simbolo ebbe fortuna in quanto, poste in disparte e dimenticate affatto le altre significazioni più importanti, i cristiani vollero, a scopo di ammaestramento morale, vedere in lui, che era immolato, la dolcezza e la mansuetudine di Gesù, che, senza macchia, si immolava accettando la condanna di morte dopo di essere stato dinanzi agli accusatori ed ai giudici suoi, così come nella profezia di Isaia è detto: “quale agnello innanzi a colui che lo tosa, tacque e non aprì la sua bocca”.
Il valore del simbolo è ben altro però è più importante e si allaccia ai fatti astronomici, che accompagnano il Sole al suo sorgere in primavera.
Vi fu un tempo (l’Egitto insegna) in cui le divinità redentrici avevano l’aspetto di Toro. Ciò fu quando l’Equinozio di primavera coincise col segno del Sole a quell’epoca nella costellazione zodiacale del Toro. Il simbolismo solare si manifesta così in modo assoluto e certo, in quanto che, per un fenomeno astronomico che si completa nel ciclo di 2500 anni e che è denominato processione degli equinozi, quelle stesse divinità furono sostituite dal simbolo dell’Agnello quando il Sole all’equinozio di primavera si trovò a sorgere sul nostro orizzonte nel segno dell’Ariete.
Così in Egitto il Toro era collegato a Ra, ad Osiride, a Seth ed a Ptah; – forse il Merodah Babilonese, certo il dio babilonese Ea e la moglie di lui erano associati a Due Tori divini; – in Grecia Dioniso aveva relazione col Toro se le donne di Elide lo invocavano affinchè si affrettasse al suo tempio con i suoi piedi di toro e là salutavano “O toro grazioso”.
Ma in progresso di tempo, compiuta cioè la precessione equinoziale della costellazione del Toro a quella dell’Ariete, parecchie divintà simboleggiate dapprima con il Toro furono associate all’Agnello, come avvenne in Siria per Astarte, che mutò il simbolo del Toro in quello dell’Agnello, come avvenne nell’Egitto per Osiride, che finì per avere due emblemi, il Toro e l’Ariete. (…)
L’Agnello è simbolo del Gesù in quanto Cristo, divinità solare vivente la vita del Logos (di cui il Sole era il simbolo e la immagine) e sacrificantesi per la liberazione dell’uomo ed affermante il suo trionfo (risurrezione) sulle potenze delle tenebre e della distruzione.
In questo senso egli è chiamato “Agnus” che non devesi intendere in questo caso come Agnello, secondo la traduzione dei teologi cristiani, ma che deve essere riferito per la significazione ad Agni, il fuoco divino che tutto illumina e muove.
Per tale modo, la passione, la morte e la risurrezione dell’Agnello ha significato – e non solo storico – per i discepoli dell’Agnello che conosceranno che cosa voglia dire essere “settatori” figli della Luce increata.
L’Uovo, simbolo della massima importanza, che ai giorni nostri assume varietà di colore, di dimensioni e di gusti, è un simbolo antichissimo, che fu adottato dalla chiesa cristiana primitiva, quale emblema di risurrezione e di vita, e che giunge fino a noi.
Ricordiamo al proposito come presso gli Egizi avesse lo stesso valore del globo alato dello scarabeo e fosse posto sopra la testa delle mummie dipinte quale simbolo di rigenerazione e di vita.
Questo valore rappresenta però di già una derivazione, quasi una applicazione all’individuo di un valore ben più ampio e generale. L’uovo infatti fu simbolo cosmogonico di importanza primaria presso tutti i popoli.
Designava esso il mistero della vita e della formazione di tutti gli esseri. E in tale valore si presenta la melagrana, che dagli Egizi era pure chiamata l’uovo di Tifone, e che si manifesta così quale una variante all’uovo.
La ragionevolezza del simbolo è rilevata dall’analogia, la quale ci dà quale punto di partenza la funzione e l’importanza dell’uovo per la generazione di qualsiasi essere vivente sopra il nostro piano fisico, sia vegetale, sia animale.
Il simbolo cosmogonico dell’uovo si trova presso i popoli più disparati e lontani.
Nella Polinesia il dio principale, il Creatore, è Tangaloa. Egli nasce dall’uovo che l’uccello invisibile e misterioso ha posto nello spazio; ed il guscio dell’uovo costituisce il mondo, ed è pure il corpo di Tangaloa.
Tra i Finni il simbolo dell’uovo è una delle spiegazioni affacciate nei loro miti per spiegare l’origine del mondo e degli Dei.
Nell’Egitto Ra è il dio creatore. Egli nasce dall’uovo, che esce dalla bocca di Knepp e che il Dio-terra Seb cova. Lo splendore o la forza di Ra (il Sole) è Ousir-Ra od Osiride, il dio redentore e trionfatore della morte. (…)
Nell’India vedica Prajapati (colui che genera) è l’uovo d’oro, hiranjgarbha, e personifica la forza creatrice da cui si svolgerà tutto l’universo.
Nelle Upanishads, la cosa è maggiormente spiegata: l’acqua sarebbe il primo essere creato dall’Incomprensibile, e nel seno di essa, frutto del proprio desiderio, è concepito un germe. Questo germe diviene l’uovo d’oro (hiranjgarbha) nel quale riposa sia Brahma sia Purusha (il tipo dell’uomo primitivo, il prototipo). Un anno Brahma passò nell’uovo d’oro, poi per effetto del suo solo pensiero lo spezzò in due formando il cielo e la terra. Perciò Brahma è pure chiamato l’uovo d’oro.
Presso gli Ebrei, l’uovo è sotto figura di melagrana, simbolo che Mosè portò dall’Egitto e che volle fosse sulle vesti sacerdotali del Grande Sacerdote. (…)
Nelle dottrine Orfiche, come si può osservare da frammenti conservatici, appare ancora il simbolo dell’uovo cosmogonico, che Orfeo attinse certo alle dottrine Egiziane.
Nell’occidente Celtico, sotto le secolari foreste di quercie, ove i Druidi e le Vellede celebravano i riti loro religiosi, risuonò spesso il grido del Druido: “io sono un druido, io sono un serpente” nel mentre portavano dipinto sul petto un uovo di serpente.
Del resto la figlia del dio Hu (detto pure il toro giallo di primavera) e della dea Ceredwyn, era chiamata Crierwyn o “il segno dell’uovo” e voleva significare di fronte alla Grande Causa Prima la Causa Minore, ordinatrice e creatrice dell’origine di un Manvantara. (…)
Testo del gruppo “Lumen in Lumini”, tratto dalla rivista bimestrale di studi teosofici “Gnosi”, numero di maggio-giugno 1923. Fonte: sito della Società Teosofica Italiana, per scaricare il documento completo clicca qui.
Per continuare ad esplorare il tema dell’Uovo, consigliamo di scaricare il catalogo della mostra “Angùli – L’Uovo Cosmico e la Sardegna – dalla Dea Madre Universale a G. Deleuze, F. Guattari, M. Gimbutas” cliccando qui.
PASCA: PASQUA IN SARDEGNA
Nella Sardegna del glottologo Salvatore Dedola, la Pasqua è “passare oltre”.
PASCA, Pasχa. La “Pasqua” sarda riceve il nome non dal bizantino Πάσχα, come si suppone, e neppure dall’ebraico Pesaḥ, ma dall’aramaico pasḫa’. Ma si sa che l’ebraico e l’aramaico sono fortemente imparentati. Peraltro va sottolineato che lo stesso termine bizantino è accattato da uno dei due termini citati o dalla loro mescolanza. Serve rimarcare un fatto importante della cultura sarda, connesso al termine sardo Pasca: esso un tempo (in molti villaggi ancora oggi) venne utilizzato per nominare pressoché tutte le feste liturgiche della Sardegna. La Pasqua vera e propria viene chiamata Pasca Manna (ossia “la Pasqua maggiore”), mentre le altre ricorrenze vengono dette Pasca de Nadále o Paskixedda = Natale; Pasca de sos Tres Res = Epifania; Pasca Rosada o Frorìa o de Fiores, o P. de Rosas, o P. de is Perdonus, o P. de su Perdonu e Maju o P. de s’Ispiridu Santu = Pentecoste. Tutto ciò sembrerebbe assurdo, poiché la Chiesa è da moltissimi secoli che ha specificato il nome delle proprie feste liturgiche, e ci aspetteremmo che il popolo si fosse adeguato. Il fatto che tutte le feste liturgiche vengano chiamate ancora oggi Pasca può avere un solo significato: ci fu – ed è ancora in corso – una resistenza passiva all’innovazione cristiana. Ma tale resistenza non deve essere intesa come residuo pagano. La resistenza invece è di matrice ebraica. Spiego meglio quanto da me abbondantemente chiarito in Toponomastica Sarda (al capitolo Cananei) circa la fortissima influenza che l’elemento ebraico ha operato dal 1000 a.C. sino a tutto il VI secolo della nuova era. Sembra evidente che i Sardi, fino al Medioevo, interpretarono il termine Pasca lato sensu, ossia come “festa” tout court, in ossequio al fatto che per gli Ebrei, compresi quelli numerosissimi abitanti in Sardegna, l’unica festa vera fu soltanto la Pesaḥ. A sua volta il lemma ebraico ha base etimologica nell’accadico pasāḫu “to drive away, partire, andar via”, in ricordo della partenza degli Ebrei dall’Egitto.
Puoi seguire Salvatore Dedola su Facebook (qui la pagina) e sul suo sito linguasarda.com.