Approfondimenti
L’Androgino Ermetico
Il termine “androgino” viene solitamente utilizzato per esprimere una connotazione sia maschile che femminile del soggetto/oggetto a cui è riferito, in una visione superficiale rispetto alla molteplicità di strade attraverso le quali può essere esplorato e, forse, colto nella sua pienezza. Un esempio di utilizzo in epoca moderno-contemporanea del termine “androgino” è quello che possiamo sovente notare in riferimento a Su Componidori nella Sartiglia di Oristano. Alcuni sottolineano la natura androgina, in dettaglio, della maschera del Componidori, ma è frequente anche il riferimento al Componidori come androgino nel suo complesso – sia in relazione ai suoi abiti e accessori, sia alle peculiarità del rito di cui è parte fondamentale – . Il Componidori come figura androgina, appunto. Altri ancora rigettano questa associazione. Al di là delle differenti posizioni, ci sembra interessante andare più a fondo sul tema dell’androgino: riflettere in primis su chi sia l’androgino può, forse, aiutare a comprendere come e perchè si sia arrivati o ad abbracciare o a respingere l’associazione Componidori-Androgino, e capire se esiste un equivoco di fondo sull’idea dell’androgino in generis, che di conseguenza può ricadere anche sul caso di specie del Componidori. Per un accenno sul Componidori come figura sciamanica-profetica, rimandiamo alla preview del nostro documentario “Sardegna Tempio delle Acque”: https://www.youtube.com/watch?v=QhlJoRxFAFI .
Proponiamo di seguito l’estratto di un articolo di Sergio Magaldi, ricco di spunti per la ricerca e la riflessione su cosa sia la figura dell’androgino nella filosofia, nella letteratura, nelle religioni, nei miti.
Nella letteratura ermetica non c’è forse equivoco maggiore di quello generato dalla figura dell’androgino. La fonte, comune ad altre tradizioni, è nei due noti versetti del Genesi biblico, in cui è detto che Dio creò l’uomo a propria immagine e somiglianza (Genesi, 1:26) e che lo creò maschio e femmina (Genesi, 1:27). […]
L’idea di un Grande Androgino primordiale si spiega con l’esigenza di coniugare insieme la capacità di generare (principio femminile) e il principio maschile o fecondatore e benché la Bibbia si sforzi di dimostrare che Dio creò tutto con la parola, quando egli pronuncia per l’ottava volta le parole creative (i dieci ‘Dio disse’ del primo capitolo del Genesi) non può fare a meno di rivelare la sua natura – di cui l’uomo partecipa in immagine e somiglianza – di maschio e di femmina allo stesso tempo.
La medesima esigenza conduce numerose altre tradizioni ad assumere una concezione per lo più identica, anche se la tradizione egizia e la maggior parte delle tradizioni orientali, eliminando il ruolo determinante della vagina e dell’utero fanno nascere tutto da un gesto solitario del Dio primordiale.
Ciò non esclude, d’altra parte, la presenza nel pantheon egizio di divinità androgine. Una è Hapi, dio del Nilo, le cui acque celano il fuoco fecondatore, raffigurato come un uomo pingue e dotato di mammelle; l’altra è Mut, grande madre, dotata insieme di organi sessuali maschili e femminili, rappresentazione della natura naturans e per molti versi assimilabile, nella mitologia greca, alla dea Cibele. Le due divinità, tuttavia, rinviano ad un primordiale dio solare che, mediante masturbazione o semplicemente sputando, crea la prima coppia dell’Enneade, alla quale appartengono, tra l’altro, Nut e Geb, cielo e terra, Osiride e Iside, sole e luna.
Tutta la questione non è di poco conto se si considera l’imbarazzo e lo scandalo che da sempre ha suscitato nella maggior parte delle coscienze l’idea di un Dio attivo e insieme passivo, di un uomo che, riflettendo l’immagine del proprio creatore, sia ad un tempo capace di fecondare e di generare. Poiché, d’altra parte, la realtà mostra che il maschio è solo capace di fecondare, riservando semmai ogni atto generativo alle opere della mente, fu di necessità provvedere alla separazione dei sessi.Il Genesi risolve il problema con altri due versetti. Nel primo (Genesi, 2:21) affermando che ‘ …il Signore Dio mandò ad Adamo un profondo sonno’ e che ‘mentre era addormentato, prese da lui una costola che sostituì con carne’; nel secondo (Genesi, 2:22) proclamando infine la costruzione (non la creazione!) della donna e presentandola al sonnolento e intorpidito Adamo.
A tale semplice e lineare conclusione, comunemente accettata, fa spesso riscontro, nella tradizione occidentale, la visione più complessa e fantastica introdotta dal Simposio platonico. E per quanto anche qui si parli di un dio (Zeus) separatore, diversi sono i presupposti: l’androgino che subisce la separazione non è già più l’immagine speculare di un Dio, perché Zeus è un dio maschio e per quanto egli si unisca occasionalmente anche con giovani del suo stesso sesso, egli non dispone di organi sessuali femminili, ma piuttosto dà sfogo alle proprie passioni indotte, se non addirittura protette dal costume, dove i vizi degli uomini sono identici a quelli degli dei.
Così, l’androgino descritto da Platone, rinvia, per le sue fonti, ad una realtà ben più arcaica e primordiale, quando Zeus non era e i sessi si manifestavano congiunti nell’indistinzione caotica della natura naturans. Insomma, il mito di Cibele e di Agdistis.
Ignorando il problema di un dio fecondatore e insieme capace di generare, problema che certo non compete a Zeus, dio relativamente giovane del politeismo greco, Platone immagina tre sessi originari: il maschio, la femmina e l’androgino. Distinzione questa che ripropone inconsciamente il rapporto tra una divinità primordiale, antropomorfa e totalizzante e la bisessualità della natura umana quale si manifesta con la polarità maschio – femmina.
Ciò che nel Simposio, Aristofane dice a Eurissimaco, presuppone non solo l’esistenza di un Grande Androgino originario, ma attesta altresì di una ubris fondamentale presente nell’androgino umano, superbia e vigore in eccesso che, esattamente come avviene per Agdistis, devono essere puniti.“Dunque – dice Aristofane – i sessi erano tre e così fatti perché il genere maschile discendeva in origine dal sole, il femminile dalla terra, mentre l’altro, partecipe di entrambi, dalla luna, perché anche la luna partecipa del sole e della terra. Erano quindi rotondi di forma e rotante era la loro andatura perché somigliavano ai loro genitori. Possedevano forza e vigore terribili, e straordinaria superbia; e attentavano agli dei…”
[…] Fu così che Zeus prese la decisione di punire gli androgini, ma, esattamente come per Agdistis, la punizione non comportò la privazione della vita, ciò che – osserva Platone – avrebbe determinato la scomparsa degli onori e dei sacrifici che gli uomini attribuivano agli dei e, se Agdistis fu evirato, gli androgini videro il proprio corpo tagliato a metà e, dopo di allora, dedicarono l’esistenza alla ricerca della metà resecata. [5] E ciò non tanto col desiderio di unirsi alla propria opposta polarità, come vorrebbe far credere un’interpretazione falsamente poetica che, solo nel matrimonio, santifica l’unione dei sessi, ma con l’idea della più completa reintegrazione dell’androgino primordiale. Il che, poi, non è tanto una metafora poetica dal momento che esiste un’abbondante letteratura sull’androginia e una sua altrettanto ricca rappresentazione nelle arti figurative.
La questione, talora ossessiva, si riassume nella domanda di Herman Melville:
“What Cosmic jest or Anarch blunder
The human integral clove asunder
And shied the fractions through life’s gate?
(Quale scherzo cosmico o errore dell’Anarca / ha spaccato l’essere umano integro / e ha lanciato i frammenti attraverso la porta della vita?)”
Evidente, nei versi di Melville, il rimpianto per la condizione edenica quando Adamo non conosce Eva ed è ancora l’Adam Qadmon, l’uomo cosmico creato a immagine e somiglianza del Grande Androgino. La legittima aspirazione a riconoscere e celebrare le due polarità della natura umana si muta nel desiderio impossibile e titanico di un uomo considerato integro, perché dotato di entrambi i sessi, a imitazione del suo fantomatico e carnale creatore.
C’è di più: il mito dell’androgino, sotto il velo poetico e religioso, cela un’altra verità. L’avversione e l’invidia maschile per la femmina alla quale soltanto è concesso di generare, tant’è che, per un verso si dice che la donna è costruita, non creata e, per altro verso, si pretende di annullare l’identità femminile, di farne a meno, per così dire, a tutto vantaggio di un ibrido di entrambi i sessi, sublimato per essere a immagine e somiglianza di Dio, come lui maschio bisessuato, dotato di straordinari poteri.
Questa visione antropomorfa, maschile e materialista della divinità si trova, con diverse accentuazioni, in tutte le religioni e nella tradizione ebraico – cristiana trova la sua pietra d’inciampo nell’allegoria del serpente e della scimmia. Cosa dice il serpente alla donna? Che se lei e il suo compagno mangeranno il frutto proibito, diverranno simili a Dio. Ed ecco Adamo ed Eva che, in luogo di reintegrarsi nell’Uomo cosmico, si trasformano in simia dei, scimmia di Dio.
Così, l’androgino, lungi dall’essere ‘un nuovo stato in cui le caratteristiche essenziali del maschio e della femmina coesistono armoniosamente’ o il luogo a cui ‘la mente s’innalza al di sopra dei nomi e delle forme’ e dove ‘anche le divisioni sessuali vengono superate’, lungi dal rappresentare il ritorno alla condizione edenica e a Dio, ne è piuttosto l’allontanamento, con la discesa nel caos indistinto della natura naturans, dove ogni identità scompare nella babele delle forme, perché ogni forma è ancora lontana dall’individuazione.Il Pimandro, sulla scia del Genesi, ripropone la bisessualità fondamentale della natura umana, la successiva separazione dei sessi per volere divino e il conseguente appello all’accrescimento e alla moltiplicazione del genere umano.
In altri trattati ermetici, tuttavia, si fa strada una più complessa dinamica dei rapporti uomo – Dio. E’ il mondo, inteso come totalità del reale, ad essere creato a immagine di Dio, non l’uomo, e se il creatore è eterno e ingenerato (aidios), la realtà (mondo, cosmo) che è generata, è soltanto immortale (atanatos). L’uomo, invece, non è né eterno né immortale, perché generato dal mondo, sebbene egli partecipi dell’immortalità mediante l’intelletto (nous):“Primo di tutti gli esseri, in realtà è Dio, eterno, ingenerato, creatore dell’universo; secondo è colui che è stato creato da Dio a sua immagine e che da Dio è tenuto in vita, nutrito e dotato di immortalità…Il Padre dunque, generandosi da sé, è eterno, il mondo invece, essendo generato dal Padre, è generato ed è immortale. E quanta materia era soggetta alla sua volontà, tutta questa il Padre la foggiò in forma di corpo e, avendole dato un volume, la rese sferica…Dio circondò il tutto di immortalità, affinché, anche se la materia volesse separarsi dalla composizione di questo corpo, non potesse dissolversi tornando al disordine che le è proprio…I corpi degli esseri celesti possiedono un unico ordine, quello che hanno ricevuto dal Padre fin dalla loro origine; e quest’ordine è conservato immutabile dal ritornare periodico di ciascuno di essi al suo posto primitivo (il ritorno periodico degli astri a un punto fissato della loro traiettoria, indica quindi l’immobilità dell’ordine celeste)…Il terzo essere vivente è l’uomo, creato a immagine del mondo, e che, a differenza degli altri esseri terrestri, possiede l’intelletto per volontà del Padre; non solo è unito per affinità al secondo dio, ma può conoscere il primo dio con la facoltà intellettiva.”
Dio – uno è davvero il Grande Androgino descritto nel primo capitolo del Genesi, in alcuni trattati ermetici e nel pantheon delle diverse religioni? In contrasto con quanto si afferma sia nel Pimandro che nell’ Asclepio, nel già menzionato discorso del nous ad Ermete, la soluzione prospettata, nonostante l’apparente dualismo, è decisamente in armonia col pensiero complessivo dell’ermetismo. Per un verso Dio, come principio trascendente, è incorporeo e dunque privo di forma, per altro verso Dio, creatore del cosmo, presenta tutte le forme:
“Il mondo è multiforme, non perché contiene in sé stesso le forme, ma perché muta in se stesso. Poiché dunque il mondo è stato creato multiforme, come può essere colui che lo ha creato? Non potrebbe essere privo di forma. D’altra parte, se egli è multiforme, risulta che è uguale al mondo. Ma se possiede una sola forma?In questo sarà inferiore al mondo. Come possiamo dunque dire che è, per non lasciare il discorso senza una conclusione certa? Niente vi è infatti di dubbio per noi nella conoscenza di Dio. Dio quindi ha una sola forma che sia propria di Dio, la quale non sia però oggetto degli organi della vista, e cioè incorporea; Dio presenta tutte le forme attraverso i corpi.”
Poiché, dunque, c’è forma solo per rapporto alla materia, Dio non ha forma, né può improntare di sé una qualsiasi forma da trasmettere all’uomo. Analogamente per gli Stoici Dio non ha forma umana: “Omitto de figura dei dicere, quia Stoici negant habere ullam formam deum (Preferisco non parlare dell’aspetto di dio, perché gli Stoici escludono del tutto che dio abbia forma)”, scrive Lattanzio (Stoici antichi, cit., fr. (B.f)1057, p. 899) e Clemente Alessandrino annota: “Dio per ascoltare non ha bisogno di avere forma umana, né gli servono i sensi, come dicevano gli Stoici, in specie quello della vista e dell’udito…” (Ibid., fr. (B.f)1058, p.901). Del pari, si osservi, per tornare sull’argomento introdotto con la nota 23, che anche Giordano Bruno, nel De la causa, principio e uno, esclude che a Dio appartenga forma umana, vuoi che questo significhi – come sostiene Augusto Guzzo (op.cit., nota 3, p. 210) – un comune sentire con l’eleatismo e il pitagorismo, vuoi piuttosto con l’ermetismo di cui parla la Yates, per ciò che lo stesso Guzzo ritiene sotteso (Ibid., nota 1, p. 210) quel ‘primo principio sopranaturale’ che invece a me pari manchi intenzionalmente nel brano di seguito citato e che, ove anche fosse presente in ‘spirito’, rimanderebbe a un Dio – Cosmo, uno e totalizzante. Ciò che, a mio giudizio, rende di nuovo il Nolano concettualmente più vicino allo stocismo che all’ermetismo:
“TEOF. E’ dunque l’universo uno, infinito, immobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l’atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve poter essere compreso; e però infinibile ed indeterminabile, e per tanto infinito e indeterminato, e per conseguenza inmobile. Questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto. Non si genera; perché non è altro essere che lui possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa. Non può sminuire o crescere, atteso che è infinito; a cui come non si può aggiongere, cossì è da cui non si può suttrarre, per ciò che lo infinito non ha parte proporzionabili. Non è alterabile in altra disposizione, perché non ha esterno da cui patisca e per cui venga in qualche affezione. Oltre che, per comprender tutte contrarieta di nell’essere suo in unità e convenienza, e nessuna inclinazione posser avere ad altro e novo essere o pur ad altro ed altro modo di essere, non può esser soggetto di mutazione secondo qualità alcuna, né può aver contrario o diverso che lo alteri, perché in lui è ogni cosa concorde. Non è materia, perché non è figurato né figurabile, non è terminato né terminabile. Non è forma, perché non informa né figura altro, atteso che è tutto, è massimo, è uno, è universo. Non è misurabile né misura. Non si comprende, perché non è maggiore di sé. Non si è compreso, perché non è minore di sé. Non si agguaglia, perché non è altro ed altro, ma uno e medesimo. Essendo medesimo e uno, non ha essere ed essere; e perché non ha essere ed essere, non ha parte e parte; e per ciò che non ha parte e parte, non è composto. Questo è termine di sorte che non è termine; è talmente forma che non è forma; è talmente materia che non è materia; è talmente anima che non è anima: perché è il tutto indifferentemente,e però è uno, l’universo è uno.”(Giordano Bruno, op.cit., pp. 210 – 212).
Il brano, di grandiosa e poetica bellezza estetica e concettuale, non lascia adito al dubbio: nell’universo così descritto non c’è spazio per la trascendenza, ciò che lo avvicinerebbe alla visione ermetica proposta nel Discorso del nous (intelletto) a Ermete Trismegisto. D’altra parte, se Dio crea il cosmo, è presente in tutte le forme e si trova tanto nel corpo del maschio che in quello della femmina e quando maschio e femmina si congiungono nell’amplesso, ricostituendo l’unità del creato (cosmo), sono a lui più vicini.
Androgino è dunque il cosmo, non l’uomo, nel senso che ogni aspetto del reale necessità dell’azione congiunta della femmina e del maschio, e benché si dica che il cosmo è creato a immagine di Dio, la sua somiglianza, poiché Dio è privo di forma, si estrinseca nell’unicità e nell’immortalità, ma già differisce nel principio stesso della sua esistenza, armonico in sé ma suscettibile di contrasto e separazione nell’individuazione delle forme del divenire. Tant’è che gli ermetici lo dicono bello, ma non buono ad indicare che è soggetto a passione e corruzione, non in sé, ma nel tempo e nello spazio. Cosa, d’altra parte, ci fa persuasi che il cosmo è uno, visto che la realtà si manifesta sempre nella forma della polarità e della contrapposizione (maschio – femmina, male – bene, odio – amore, luce – tenebre, giorno – notte, vita – morte…)? Non potendo creare un altro se stesso, se non riproponendo – come già si è detto -l’identità di sé, Dio scelse di creare, sì un dio, perché, a propria immagine e somiglianza, lo fece uno e immortale, ma un dio visibile e sensibile, non tanto perché costui percepisse ma perché potesse essere percepito: nacque così l’androgino ermetico – primo mattone della costruzione del cosmo, mirabile pietra grezza in cui la trinità converge nell’unità ancora indistinta e caotica, unico e vero figlio di Dio, logos divino in cui Dio si è fatto carne. Questi e solo questi è l’ Adam Qadmon, l’androgino primordiale, il caos primigenio che contiene indifferenziati il principio maschile e il principio femminile, e per mezzo del quale nasce l’ordine (cosmo) e si conoscono le forme transeunti e molteplici del reale.
Sotto questo profilo, l’intera storia, non solo dell’umanità, ma di tutte le forme esistenti e di quelle di là da venire, altro non è che la grande epopea dell’Ermete Trismegisto, il mercurio tre volte grande, non perché – come è stato detto – egli sia figura umana dotata di straordinaria saggezza e signore nei tre regni, bensì, perché è l’anima di tutte le fasi della Grande Opera. Dove il mercurio è tre volte grande? Nell’essere materia prima dell’Opera, nel morire e nel saper rinascere. Egli è ad un tempo la pietra grezza, la pietra lavorata e la pietra filosofale. Non a caso il suo nome greco, Ermes, significa pilastro di pietra e in tale forma veniva spesso rappresentato. Nella mitologia greca, egli è padre di Ermafrodito (l’androgino, la pietra grezza), generatogli da Afrodite nata dalla spuma del mare, fecondata dai genitali recisi di Urano.
Cosa fa l’alchimista con arte spagirica? Egli separa l’unità indistinta e caotica degli elementi (sale, zolfo e mercurio) che formano la pietra che non è una pietra e li ricompone nell’unità mirabile e aurea della pietra filosofale.
Il medesimo lavoro è possibile in tutte le tradizioni. In quella ebraica, il sigillo o esagramma di Salomone contiene, racchiusi in un cerchio (sale – terra), due triangoli contrapposti e incrociati, simboli del fuoco (zolfo) e dell’acqua (mercurio). L’esortazione contenuta nella Tavola di Smeraldo può essere compiuta: ‘lavare col fuoco e bruciare con l’acqua’. E lo Zohar, in un passo che ha per tema la dialettica luce – oscurità, così ripropone il significato della creazione umana fatta a immagine e somiglianza di Dio:“‘A nostra immagine’ corrisponde alla luce (principio maschile). ‘A nostra somiglianza’ corrisponde all’oscurità (principio femminile), che è una veste per la luce “.
Per scaricare il documento completo clicca qui: http://www.sergiomagaldi.it/Articoli/files/ANDR-ERM.pdf oppure http://zibaldone-sergio.blogspot.it/2012/12/androgino-ermetico.html