Approfondimenti
DIO UNICO
“(…) Dico soltanto che la tradizione del Dio Unico (cui aderiscono le varie sette: cristianesimo, islam, ebraismo, buddismo, induismo) viene da molto lontano. Ad esempio, nella Babilonia di età tarda tutte le divinità venivano identificate con funzioni o aspetti di Marduk:
Uraš è Marduk della piantagione
Lugalidda è Marduk dell’Abisso
Ninurta è Marduk del piccone
Nergal è Marduk della battaglia
Zababa è Marduk della guerra
Enlil è Marduk della signoria e della consultazione
Nabu è Marduk della contabilità
Sîn è Marduk che illumina la notte
Šamaš è Marduk della giustizia
Adad è Marduk della pioggia
Tišpak è Marduk delle truppe
il Grande Anu è Marduk del […]
Šuqamuna è Marduk del contenitore
[…] è Marduk di ogni cosa (CT XXIV 50)
Ma a sua volta la speculazione teologica babilonese del Dio Unico con le sue numerose sfaccettature viene da più lontano, precisamente dal poema più antico della letteratura mondiale, l’Enuma Eliš. Nelle Tavole VI-VII del poema della Creazione e della Teogonia, Marduk sistematore dell’Universo viene nominato Dio supremo dell’assemblea degli déi (gli Igigi, dimoranti 300 nel Cielo e 600 nell’Apsû), e per l’occasione gli vengono dati i cinquanta nomi con i quali sono evocate le sue epifanie nel cielo e nel mondo.
A rinforzo del Dio Unico babilonese, possiamo evocare il dualismo cosmico di Zaraθuštra (profeta di Aḫura Mazdā), il cui pensiero, originato tra la Persia e l’Afghanistan del 2° millennio a.e.v., contiene già la grande idea di un Dio Unico che combatte contro l’essenza del Male. Al fine di combatterla meglio, Dio fa nascere Zaraθuštra da una donna terrena, e il Prescelto si comporta all’incirca come Gesù, predicando il bene contro il male e finendo per essere assassinato dai sacerdoti del tempio. Non è un caso che il Mazdeismo sia considerato il 4° monoteismo, anche se una giusta dose di dignità dovrebbe persuadere a considerarlo il primo, o almeno il terzo dopo quello babilonese e dopo quello egizio di Akhenaton.
Non è vano ricordare ai lettori che pure il Buddismo è a pieno titolo una religione monoteista. E siccome nacque all’incirca negli anni del monoteismo ebraico, possiamo considerarlo a pari merito come uno dei primi monoteismi della storia, cui seguì il Cristianesimo, infine l’Islam come ultimo monoteismo.
Stando alle auto-proclamazioni, verrebbe spontaneo assegnare la palma di Primo Monoteismo alla religione induista, poiché i Veda proclamano il Dio unico, e allo stesso tempo certi studiosi, specialmente gli indiani, considerano quella letteratura la più antica del mondo, risalente almeno a 3000 anni a.e.v., almeno nella sua tradizione orale. È dal Mahabharata che ricaviamo l’idea del Dio Unico. Nel Bhagavad-Gita, cap. 10,2 è proclamato solennemente che il Dio Unico o Kṛṣṇa esprime, tra le tante, le seguenti epifanie:
– Anima Suprema situata in ogni creatura (Guḍākeša)
– Viṣnu tra gli Āditya (gruppo di 12 esseri celesti, figli di Aditi)
– Sole radiante tra le sorgenti luminose
– Marici o deva-maestro degli spazi celesti
– Luna tra le stelle
– Sāma tra i Veda (Sama-veda: gli altri Veda sono Ṛg-veda, Yajus-veda, Atharva-veda)
– Indra tra gli esseri celesti
– la mente tra i sensi
– La coscienza o forza vitale tra gli esseri
– Agni (fuoco) tra i Vasu
– Skanda (signore della guerra) tra i generali
– Oceano tra le acque
– Fico sacro tra gli alberi
– il monarca tra gli uomini
– Kandarpa (dio dell’amore) tra i procreatori
– Varuṇa tra le divinità delle acque
– Yama (il signore della morte) tra gli amministratori della legge
– Vento tra i purificatori
– Rāma tra i guerrieri
– Brāhmā tra i creatori (egli ha generato anche Šiva)
– la Morte che tutto divora
– Šiva, incaricato della distruzione dell’universo alla fine della vita di Brāhmā, che l’ha generato. È la divinità dell’ignoranza.
Brāhmā, Šiva, Viṣnu costituiscono la Trimūrti, la Trinità dell’induismo, la forma triplice dell’Essere Supremo. La Terra, creatrice della vita, è rappresentata da Brāhmā; Viṣnu è l’acqua che mantiene la vita; Šiva è il fuoco che trasforma e distrugge. Il cielo è Brāhmā, il sole è Viṣnu, la luna è Šiva.
A ben vedere, il Dio Unico affiora in ogni indagine teologica, quindi, tirando le somme, possiamo enumerare ben otto monoteismi nella storia eurasiatica (anzi nove, mettendoci quello sardiano, che fu certamente tra i primi, se non il primo in assoluto). (…)
LA TRINITÀ , IL MESSIA, I MISTERI, I MISTERI ELEUSINI, L’ESTASI
La Trinità. La trovata di Costantino al Concilio di Nicea fu una delle più semplici e bene accette, proprio perch’era tradizionale, nient’affatto innovativa: infatti la Trinità è sempre stata un concetto attivo e fecondo in tutte le religioni mediterranee ed euroasiatiche, ognuna delle quali aveva un fondo vividamente monoteistico.
Presso la religione induista, la Trimūrti (in sanscrito: ‘avente tre forme’) indica i tre principali aspetti divini manifestati nelle forme di tre importanti Deva archetipi: Brahma è il Creatore, Višnu è il Conservatore, Šiva è il Distruttore. La stessa Trimūrti è spesso concepita come un’unica divinità. Infatti le tre figure sono aspetti riconducibili allo stesso Dio Unico.
In alcune forme narrative minori la Trimūrti è nata dall’Uovo primordiale deposto da Ammavaru all’inizio dei tempi. Da un punto di vista storico, la Trimūrti è successiva alla trinità espressa dagli Dèi vedici Agni-Vâyu-Sûrya, tre aspetti del fuoco del sacrificio.
Concetto simile esistette per molte divinità “indoeuropee” (Odino-Thor-Freyr; Giove-Nettuno-Plutone, ecc.), poiché anch’esse al proprio fondo non erano altro che religioni monoteistiche. E non possiamo dimenticare la trinità egizia, composta da Atum, Horo, Ra, identificabili nel Padre, Figlio, Spirito Santo dei cristiani.
Nell’esame della religione più nota dell’antichità classica, quella greca, dobbiamo comunque andare cauti, poiché il vero Dio Unico all’inizio non fu altri che Pan, e fu proprio da lui che ebbe origine la fenomenologia greca della trinità. Stando ai miti greci, gli uomini appresero dai Satiri la musica, che all’origine era un’imitazione del canto degli uccelli, del soffiare del vento, del mormorio delle fonti. I Greci trasformarono tutto in mito e in poesia. Ma ciò non toglie che i loro termini pan-mediterranei avessero una base più arcaica della loro stessa lingua quale ci è nota. Ad esempio, Pān (Πᾶν) ha la base etimologica nell’akk. pan, panû, penû ‘faccia, apparizione’ (apparizione del Sole, faccia del Sole, poiché Pān era in realtà l’originario dio dell’Arcadia, ipostasi del Sole). Non a caso il celebre panico (πανικός) arrivava all’ora meridiana, quando il Sole risplende e accalda in sommo grado, richiamando la terribilità insostenibile del Dio. Abbiamo pure la corrispondenza ebraica: pāne, pānīm ‘faccia, apparizione, apparenza’; cfr. ebr. Penû ’El ‘la faccia di Dio’, al cui santuario si recavano gli Israeliti per adorare la faccia splendente di Dio, il Sole, col suo severo potere giudiziale.
Una ulteriore Trinità s’apprezza nella religione egizia. Il mito di Osiride-Iside-Horo esprime appunto la Trinità che opera nell’Universo e nel mondo. Al pari della variegata impalcatura religiosa dei Sardi, gli Egizi ebbero bisogno di specificare gli atti del Dio Unico attraverso le epifanie che lo caratterizzavano. E mentre non ebbero bisogno di trovare un epiteto per il fenomeno della pioggia (attorno e lungo il Nilo non piove), attribuirono la fecondità non alla pioggia ma direttamente al dio Api, un toro che è epifania di Ra, il Sole, che a sua volta è fecondatore dell’Universo e generatore del Nilo fecondatore.
Sappiamo che il Sole egizio fu rappresentato anche da Horo. Ma al riguardo siamo avvertiti che i vari nomi per un’unica funzione scaturirono dal fatto che il Nilo è il fiume più lungo del mondo, e nelle sue sponde convissero tanti popoli le cui nomenclature riferite alle epifanie del Dio Unico furono necessariamente diverse. Ancora una volta, siamo noi osservatori moderni a doverci adattare ai fenomeni dell’antichità, se vogliamo capirli e descriverli. Quindi dobbiamo stare attenti nell’analisi della Cosmogonia egizia per non vedere la trinità anche in Nut (il Cielo) che sposa Geb (la Terra) generando Ra (il Sole).
Parimenti non possiamo vedere una trinità nella triade astrale semitica Šamaš sole, Sîn luna, Ištar stella Venere, come invece qualcuno suggerisce. Il dio supremo semitico è El la cui paredra è Ištar, mentre Šamaš e Sîn sono le loro epifanie. Quindi una vera trinità la si può individuare soltanto se analizziamo bene le epifanie di questi déi.
Anche per i Sumeri dobbiamo essere guardinghi allorquando dai più si nomina la triade Anu (‘cielo’, specie a Uruk, la paredra è Antu), Enlil (‘aria, vento, terra’; la paredra è Ninlil o Ninkhursag), Enki che poi divenne Ea ‘Casa dell’acqua’ (terra) con la paredra Damkina o Beletili (da cui il nostro Betilli). In ogni modo fu Enlil ad assurgere a dio supremo, e da lì dobbiamo partire ad analizzare i poteri trinitari.
LA TRINITÀ CRISTIANA:
Come dicevo, la Trinità fu fatta propria dai Cristiani in virtù della loro impossibilità di staccarsi, senza che l’atto fosse foriero di ulteriori traumi, dalle tradizioni mediterranee; ma è stolto andare a cercare le fonti della Trinità nel luogo meno adatto, ossia nella Bibbia. Mosè, i profeti, Gesù non hanno mai parlato di trinità: “il Signore è uno solo” (Dt 6,4). La vigenza della Trinità nelle tradizioni mediterranee era vista dal nuovo clero cristianizzato come un modo alquanto maldestro di raccapezzarsi sulle varie epifanie di Dio. E in ogni modo, partendo da questa ch’era la visione più accetta nell’Impero, Costantino riuscì a sedare una guerra civile attingendo al pensiero gnostico, cui bene o male ogni vescovo doveva la propria formazione culturale. Ed a Nicea nacque il dogma trinitario. Ma vi erano stati dei precedenti nella dottrina cristiana?
Nel cap. 18 di Genesi Yahwh apparve nuovamente ad Abramo informandolo che Sara avrebbe partorito. Con Lui c’erano altri due personaggi in forma umana. Secondo le Edizioni paoline erano “emblema antropomorfico di Dio stesso”. Nella realtà i tre personaggi mangiarono focacce con carne di vitello tenero e bevvero latte acido e latte fresco.1 Per Giovanni 10,30 il Figlio è una sola cosa col Padre: “Io e il Padre siamo uno”. Sembra questo il punto di snodo tra il passato inafferrabile e il futuro luminoso della Trinità. Giovanni aveva cominciato a spianare la via alla cervellotica passione teologica di Costantino.
A dirla tutta, il dio della teologia cristiana è unitario per essenza e trinitario per numero. È formato da tre persone ontologicamente distinte ma essenzialmente identiche. Conseguentemente, nelle note di commento alla Bibbia (Società Biblica di Ginevra), il teologo può affermare: “Dio (ebr. Elohim), primo nome della Deità, è un plurale per quanto riguarda la forma, ma è un singolare per quanto riguarda il significato, quando è riferito all’unico vero Dio”.
Il teologo non tiene conto che il testo sacro non rivela e non chiarisce in nessun punto di avere voluto riferire il plurale Elohim all’unico vero Dio. Non solo non chiarisce, anzi per lui “l’uso del plurale sottintende la Trinità” (cfr. op. cit. p. 3). E ancora più avanti completa la propria tesi affermando che “questo essere supremo è uno, ma la sua unità non è completamente rivelata dall’A.T.: è uno nella pluralità” (cfr. pag. 1162 ib.). Argomentando in qualche modo da quelle premesse, peraltro gratuite, arriva a concludere che gli Elohim rappresentavano la Trinità cristiana. Fantasia? No: teologia cristiana. Con la teologia si può arrivare dove si vuole.
Specificamente, nella teologia confessionale cristiana un dio solo è costituito da tre déi distinti, restando unico; tre déi distinti formano un dio unico, restando molteplici. Con la conseguenza teologica che nell’unità c’è una pluralità di déi e nella pluralità c’è un unico dio. Questa enunciazione è per l’intelletto, per la ragione e per il senso comune, una contraddizione irriducibile, del tutto assurda. Invece per la teologia cristiana è razionale nel campo dell’immaginario trascendente, è reale sul piano esistenziale della metafisica, è carica di mistero nel profilo della conoscenza.
Nella scala ordinale si elenca la prima, la seconda e la terza persona della Trinità e, correlativamente, si distingue Padre, Figlio, Spirito Santo. Nella scala genetica, il Padre esiste per se stesso; il Figlio viene fatto discendere dal padre per atto di generazione, lo Spirito Santo discende dal Padre e dal Figlio per atto di processione. …Quella dottrina ha finito col sostituire la teologia mitologica di carattere naturalistico del paganesimo con la teologia mitologica di carattere metafisico del cristianesimo. Quella era grottesca, questa è farneticante. Le generazioni di déi pagani avvenivano in ambienti dello spazio-tempo, sulla base di rapporti eterosessuali. Gli atti di generazione e di processione del Dio trinitario cristiano sarebbero avvenuti fuori dello spazio-tempo, in ambiente metafisico, nell’eternità. Sarebbe stato molto meglio se il clero cristiano avesse avuto l’umiltà di semplificare le proprie concezioni attingendo dalla purezza di quelle ebraiche oppure, dopo Maometto, dal raffinato monoteismo musulmano. Ma tale ravvicinamento dei tre Monoteismi avrebbe comportato la riprovevole prospettiva di un’era di pace lunga e fruttuosa. Meglio fare le Crociate!
LO SPIRITO SANTO:
Giovanni lo chiama Spirito santo (14:26) o Spirito della verità (15:26) e precisa che “procede dal Padre” (15:26). Gli altri evangelisti non sapevano nulla di tale Spirito, e neppure Paolo.
Forse è per questo che, in materia di processione, la teologia ha prodotto due verità che, secondo gli autori, sarebbero entrambe ispirate dallo Spirito santo, proprio riguardo a se stesso. Ai cattolici romani lo Spirito Santo ha ispirato di essere procedente dal Padre e dal Figlio, agli ortodossi greci di essere procedente solo dal Padre, anche se tramite il Figlio. Con ciò si dimostra che non sono gli uomini a parlare ispirati dallo Spirito Santo ma è lo Spirito Santo a proclamare le cose come vogliono gli uomini.
Ma che cosa vuol dire procedere direttamente o mediatamente? La differenza è sottile, ma c’è: sia quand’è fatta dallo Spirito Santo sia quand’è fatta dai padri conciliari. Il problema è quello di capire quale essa sia. E questo, francamente, lo sanno solo i teologi cattolici e quelli ortodossi. La processione è certamente un mistero fideistico, di cui il dio cristiano ha voluto rivelare l’esistenza tramite Giovanni ma non ha voluto svelare il contenuto. Ciò è pienamente coerente con gli assiomi posti a fondamento della teologia cattolica.
SPÍRITO. Vediamo se l’etimologia può aiutare a capire le origini di questa parola. In Sardegna Spìrito, Spíritu è un cognome. E come avviene per la generalità dei cognomi sardi, anche questo lemma è arcaico. Se è diventato cognome, vuol dire che all’inizio fu principalmente un nome muliebre sardiano, il quale a sua volta sottendeva una pratica rituale nota e apprezzata. In tal caso ebbe la base nell’akk. supû, suppû ‘preghiera, supplica’ + irītu ‘consiglio, guida, direzione’: supp-irītu, col significato di ‘Guida nella preghiera’ (da elevare agli déi). A quanto pare, anticamente le preghiere nel Tempio erano dirette da un sacerdote o una sacerdotessa, i quali, si sa, erano gli intermediari tra il popolo e la divinità. Fu da questa contingenza materiale che “prese corpo” la parola spirito.
Questa etimologia aiuta a capire che, per quanto riguarda la normale capacità conoscitiva umana, l’universo metafisico non esiste, né in senso eterno né in senso contingente. O quantomeno nessuno può dimostrare che esista. Per ciò nella teologia non si può prescindere dal mistero (del quale tra poco discorreremo). La stessa eternità è un mistero. Ma questo, nella stessa logica dei princìpi della rivelazione, dovrebbe essere ragione sufficiente per porre un limite dialettico ai discorsi vani e pretenziosi di chi vuole scandagliare i rapporti esistenti nell’eternità. (…) “
Fonte:
Monoteismo Precristiano in Sardegna, Salvatore Dedola
[5 Dio Unico]