Approfundimentu
UNA FRANCADA DE ETIMOLOGIAS dae “Grammatica de sa Limba Sarda Prelatina”
” ABBA log., aqua camp. ‘acqua’. Gli etimologisti che mi hanno preceduto, convinti della “innegabile” origine latina di gran parte della lingua sarda, hanno persino inventato le leggi fonetiche che dimostrerebbero il processo di derivazione dei vocaboli dal latino al sardo. Wagner sostiene che abba deriverebbe direttamente dal lat. aqua, in virtù dell’esito del lat. -q- > sardo -b-. Ma io ho già spiegato che per -q- e -b- non ci troviamo affatto di fronte ad un processo derivativo, a una norma fonetica derivata diacronicamente dall’altra, ma di fronte a due fenomeni sincronici, già operanti per proprio conto prima dell’invasione romana.
Abba esiste già nel vocabolario accadico: abbu ‘palude, pantano’; abbû ‘fauna acquatica’; bā ‘acqua’. Esistette già prima nella lingua sumerica: a’abak ‘(acqua del) mare; sea (water)’, a-ab-ba ‘idem’ (< a ‘water’ + ab ‘sea’ + ba ‘marine creature’).
In origine ci fu un doppio registro, che lasciò in eredità due lemmi sardi: abba a nord, ácua, aqua a sud. Il registro campidanese ebbe base nell’akk. agû, egû ‘onda, corrente, flutto’, che poi finì sotto l’influenza latina di aqua. Fenomeno di Lautverschiebung nord ≠ sud.
AJÓ classica esortazione sarda, sardiana: ‘orsù, suvvia’ (un po’ l’equivalente del campidanese toca!: vedi). Spesso è usata nel senso di ‘andiamo!’, ma è un’estensione scorretta del semantema, dovuta all’ignoranza dell’origine del termine. Ajó proviene direttamente dall’antico assiro aḫû ‘fraternizzare, diventar fratelli’, ‘far coppia con’; ‘unire le forze, fraternizzare (di nemici)’. È dunque un antico imperativo che esorta alla pace, all’unione. Si noti la caduta della -ḫ-, comune a molti vocaboli della tradizione semitica in Sardegna.
ARCHÉ gr. ‘principio, cominciamento, origine, prima causa’. Vedi anche il cgn sardo Arca. La base etimologica è akk. (w)arḫu ‘luna’, ‘primo giorno del mese’, ‘inizio della lunazione’.
DÉU, DÉUS. Questo nome sardo è veramente universale, a dispetto di quanto pensa lo stuolo dei linguisti che vorrebbero imporre alla Sardegna l’irritante balzello della “eterna colonizzazione”, quindi della “derivazione del pensiero sardo da altri centri più evoluti”. Salvo poi capirsi definitivamente sul concetto di “centri più evoluti”, visto che quando nacquero i concetti di “Dio”, Atene e Roma, gl’inossidabili idoli dei nostri linguisti, stavano ancora in mente Dei, nella mente di Zéus, mentre la Sardegna da oltre 1000 anni aveva costruito i nuraghi, che furono eretti proprio in onore del Dio Unico, il Creatore dell’Universo.
Vale la pena citare Ζεῦς, ‘Dio’ per antonomasia, che fu il massimo dio dell’Olimpo. Figlio di Crono e Rea e fratello di Poseidone, Ade, Estia, Demetra, Era, egli apparve in Grecia come il padre degli déi e degli uomini. Ma il suo apparire a capo di un pantheon ci porta intorno al 1200 a.e.v. (Iliade), allorchè il nome di Déus/Zéus stava circolando per il Mediterraneo da millenni.
In verità, il sardo Déu è panmediterraneo, pronunciato in Grecia Zéus, in Sardegna Déu, a Roma Deus. Le prove linguistiche confermano un’antichità molto più remota del termine sardo rspetto a a quello greco e latino. Il termine pansardo, assieme a quello greco e latino, ha un’arcaica base nel sum. de ‘creare’ + u ‘totalità, universo’: de-u, col significato originario di ‘Creatore dell’Universo’. Che poi il skr. deva ‘dio’ abbia la stessa radice sumerica, è ulteriore indizio che fu proprio il bacino sumerico a irraggiare il concetto del Principio Universale. Vale la pena aggiungere che dalla base di ‘splendore’, de ‘creatore’ i Sumeri forgiarono un proprio termine per nominare propriamente Dio, ed è dingir, di-ĝir, che significa esattamente ‘Dio dei Sumeri’ (dove di significa ‘Dio’, ĝir significa ‘autoctono, nativo’ ossia ‘Sumero, colui che vive nella terra di Sumer’).
Non è vero che il gr. Zεύς trascriva la z- da una *dy- indoeuropea (Rendich, LI), invece la trascrive direttamente dal sum. d-. Nel quadro dei confronti paralleli fu recata confusione dall’intromissione del lemma greco θεός ‘dio’, poichè non si è voluto render conto che θεός non è nome proprio ma nome di genere: indica qualunque dio del pantheon greco, dai quali si distingue propriamente Ζεύς col suo nome personale. Principalmente non si è voluto tener conto che il concetto greco di θεός è precisato dal collaterale verbo θέω ‘brillare, sfolgorare’: quindi θε- è forma distintiva (oppositiva) ch’esprime lo stesso concetto della radice sumerica di ‘sfolgorare’, cui si erano omologate le altre radici “indoeuropee” in dī- (es. lat. dī-us), relative alla ‘luce del giorno’, allo ‘splendere, brillare, render chiaro’, che appunto hanno la base nel sumerico di ‘brillare, sfolgorare, to shine, to be bright’. Quindi il lat. di-us ‘luminoso, divino, del cielo’, di-es ‘giorno’, gr. dī-os ‘brillante, divino, celeste’ hanno la base nel sum. di ‘to shine, to be bright’ + u ‘universo’, col significato originario di ‘illuminare l’universo’; non sono quindi scomponibili in *d-ī, come pretenderebbero invece gli indoeuropeisti, che lo traducono bolsamente come ‘moto continuo (ī) della luce (d)’ (vedi Rendich), ossia in un modo che sta agli antipodi del pensiero scientifico.
DICŌ lat. ‘pronunciare, dire, proferire, esporre’. Ha base etimologica nel sum. di ‘to say, tell, speak’ + ku ‘depositare, porre in loco’: di-ku, col significato di ‘deporre la sentenza’ (i.e. ‘parlare solennemente’); vedi sum. dug ‘to speak, talk, say’. Cfr. it. dì (imperativo).
DO (to do) ingl. ‘fare, agire’. Ha base etimologica nel sum. du(-g) ‘consegnare’, ‘offerta’; ‘agire’; anche ‘parlare’, nei casi aš du(g) ‘dire una maledizione (maledire)’, di du(g) ‘dire una causa (giudicare)’, anir du(g) ‘dire un lamento (lamentarsi)’, ĝiš du(g) ‘fare il pene (far l’amore)’, maškim du(g) ‘fare l’ufficiale giudiziario’, ecc. Da questi ultimi esempi si nota l’identità di azione e di forma del verbo sumerico con quello inglese.
ÉYA, ÉY. Questo avverbio d’affermazione, con semantica corrispondente all’it. sì, è quasi identico a quelli in uso dagli anglosassoni e dai germanici: ingl. yà, yèa, yès; ted. yà, jà. È un relitto asseverativo eurasiatico appartenente alla Prima Cenosi Linguistica (quella appunto eurasiatica, cominciata nel Paleolitico da parte dell’Uomo di Neandertal), la cui base etimologica resiste nel sumerico e, i, ei (e-i), ia. Precisamente: e interiezione vocativa; i espressione vocativa, esclamazione vocativa = it., ingl. hey!; ia esclamazione oh!, un tipo di esclamazione (composto da i + a ‘a bird cry’). L’uso discreto delle quattro formazioni fonetiche sumeriche, molto simili tra di loro e come tali fungibili, portò, lungo i millenni, alla reciproca contaminazione o fusione, con gli esiti che oggi permangono nel mondo sardo, anglosassone, germanico.
GÁIA γαῖα, γῆ ‘la terra, la dea Terra’. I grecisti riconoscono che il termine è senza etimologia (Chantraine), mentre in realtà la sua base è nel sum. ge ‘forma, shape’, ki ‘la terra’, che può anche aver subito l’influsso di gu ‘interezza, somma, totalità’. “Gaia primamente generò, simile a sé, Urano stellato, che l’avvolgesse tutta d’intorno, che fosse ai beati sede sicura per sempre” (Esiodo Theog. 126-127).
ELEONÒRA, Leonòra. Questo celebre nome personale fu un epiteto sacro mediterraneo con base nell’akk. lē’ûm ‘il forte, il vincitore, il potente’ + nūru ‘luce, bagliore’, col significato di ‘potente luminoso’ (riferito alla Dea Luna). A sua volta nūru ha la base nel sum. nu ‘creatore, creatrice’ + ur ‘egli, colui che’: nu-ur ‘Colui/Colei che crea’ ossia ‘Origine del Creato’. Con -ur- di Leonòra rientriamo nei suffissi dimostrativi originari di origine sumerica.
MARIÁNO è il grande giudice, padre di Eleonora d’Arborèa. Il nome ha base nel sum. mar, marum ‘marra, pala, vanga’ + an ‘cielo’ (akk. Anu ‘sommo Dio del Cielo’). Il significato sintetico è ‘vanga di Anu, zappa del Dio sommo’, epiteto esaltativo dovuto al fatto che il giudice Mariano fu fautore dell’ammodernamento dell’agricoltura: il primo Codice Agrario del regno di Arboréa fu dettato proprio dal giudice Mariano.
PAN. Stando ai miti greci, gli uomini appresero dai Satiri la musica, che all’origine era un’imitazione del canto degli uccelli, del soffiare del vento, del mormorio delle fonti. I Greci trasformarono tutto in mito e in poesia. Ma ciò non toglie che i loro termini pan-mediterranei avessero una base più arcaica della loro stessa lingua. Ad esempio, Pān (Πάν) ha la base etimologica nell’akk. pan, panû, penû ‘faccia, apparizione’ (apparizione del Sole, faccia del Sole, poiché Pān era in realtà l’originario dio dell’Arcadia, ipostasi del Sole). Non a caso il celebre panico (πανικός) arrivava all’ora meridiana, quando il Sole risplende e accalda in sommo grado, richiamando la terribile insostenibilità del Dio. Abbiamo pure la corrispondenza ebraica: pāne, pānīm ‘faccia, apparizione, apparenza’; cfr. ebr. Penû ’El ‘la faccia di Dio’, al cui santuario si recavano gli Israeliti per adorare la faccia splendente di Dio, il Sole, col suo severo potere giudiziale.”
SET (to) ingl. ‘mettere, porre’, ‘regolare’, ‘mettere’ (es. una trappola), ‘fissare, stabilire’; cfr. sd. séttiu, sédiu ‘giusta posizione’, ‘modo di stare’; torrare a séttiu is cosas ‘mettere le cose a posto’, assettiái ‘mettere a posto’; cfr. it. assettare ‘mettere a posto, sistemare’, assetto ‘sistemazione o disposizione coordinata allo svolgimento di un’operazione’. Ha la base nel sum. se ‘stabilire, dimorare’, ‘vivere’ + du ‘costruire’, ‘piantare’, ‘tenere saldamente’: se-du, col significato di ‘stabilire saldamente’, ‘stabilirsi saldamente’, onde lat. sēdēs ‘luogo dove si vive’, ‘sedia’, ‘trono’, sedēre ‘sedere, stare fermo’.
SORS, sortis lat. ‘bastoncini di legno gettati per l’interpretazione oracolare’. Dal sum. šur ‘pezzetti di rami’.
SHE ingl. ‘ella, lei’ (pron. dimostr. di 3a persona, e pronome indipendente) < akk. šī ‘ella, she’.
SUN ingl. ‘sole’, con base etimologica nel sum. šun ‘risplendere, brillare’. Vedi anche il cognome sardo Sonnu, che non corrisponde al sost. sonnu ‘sonno’ < lat. somnus, come crederebe Pittau, ma ha la base etimologica nel sum. šun ‘risplendere, brillare’ (vedi ted. Sonne ‘sole’). Indicò quindi in origine proprio il Sole, quindi il Dio Sole.”
Fonte: “Grammatica de sa Limba Sarda Prelatina”, Salvatore Dedola