Approfondimenti
Gramsci – Scienza, Logica e Traducibilità
Il problema della “commensurabilità o incommensurabilità dei linguaggi e delle teorie scientifiche”, il “realismo critico e pragmatico” di Gramsci, nel quale scienza è “modello dinamico ed aperto al mondo della vita mediante la prassi, ovvero la capacità per il pensiero di dimostrare concretamente, quasi ‘sperimentalmente’, la capacità non solo di interpretare il mondo, ma di cambiarlo” in “Gramsci – scienza, logica e traducibilità, per una antropologia della conoscenza”, testo del prof. Maurizio Congiu il quale, il 27 aprile 2017, è stato relatore in occasione del 33° appuntamento dell’iniziativa “33 x 366: 33 artisti ospitano Gramsci” a Oristano. L’artista che ha esposto per questo appuntamento è Maurizio Podda.
A fine testo pubblichiamo un reportage dell’evento, a cura di Cinzia Carrus, nel quale sono ritratti Maurizio Congiu, Giuseppe Manias (direttore della Biblioteca Gramsciana ed organizzatore dell’evento), Maurizio Podda e alcuni dettagli delle sue opere.
GRAMSCI
SCIENZA, LOGICA E TRADUCIBILITÀ
PER UNA ANTROPOLOGIA DELLA CONOSCENZA
- Gramsci e la scienza.
Che i rapporti fra scienza e filosofia siano problematici non è, certamente, una opinione ma un dato di fatto. La scienza galileiana, matematica e sperimentale, rinunciando alla ricerca delle essenze, e quindi ad una fondazione metafisica della scienza (come nel progetto cartesiano), pone le premesse per il distacco perlomeno della scienza dalla metafisica, e tende ad identificare il discorso filosofico con quello scientifico tout court. È una posizione che, semplificando un po’ le cose passa, attraverso il Kant della Critica della ragion pura al Positivismo ed al Neopositivismo novecentesco, quello della visione scientifica del mondo e che aborre qualunque implicazione metafisica dentro e o fuori il discorso scientifico. D’altro canto la linea razionalistica della filosofia occidentale, partendo da Cartesio ed arrivando ad Hegel e oltre, tende, invece, non solo a fondare la scienza sulla metafisica, come in Cartesio, ma ad identificare la scienza con la filosofia intesa come metafisica con Hegel ed altri. Il materialismo storico-dialettico di Marx ed Engels sembra porsi a cavallo di questi due filoni in quanto fa appello all’esperienza (storica) che cerca di ricostruire razionalmente facendo ricorso anche ad una sorta di filosofia della storia sul modello hegeliano. Vi è però il motivo della prassi, soprattutto in Marx, che sembra poter fare da trait d’union fra le posizioni dei Pragmatisti e perfino quelle dell’Ermeneutica. La gramsciana filosofia della prassi va intesa non solo come un esplicito richiamo a Marx nella chiave di un rifiuto di una interpretazione positivistica del materialismo storico, ma anche e forse soprattutto come un recupero all’interno di quella tradizione di una influenza non solo e non tanto di matrice idealistica, quanto piuttosto pragmatica ed ermeneutica (anche a causa dell’approccio linguistico ai problemi filosofici proprio del pensiero di Gramsci). La scienza diviene così non un modello statico ed astratto della conoscenza, bensì un modello dinamico ed aperto al mondo della vita mediante la prassi, ovvero la capacità per il pensiero di dimostrare concretamente, quasi “sperimentalmente”, la capacità non solo di interpretare il mondo, ma di cambiarlo. La scienza mediante la tecnica fa proprio questo. Spetterebbe, forse, alla filosofia guidare questo processo. Ma per poterlo fare la filosofia non può romanticamente e semplicemente criticare la scienza e la tecnica, secondo un approccio di tipo heideggeriano, quanto piuttosto cercare di comprendere i presupposti filosofici generali (e non solo epistemologici) che innervano la ricerca scientifica. I newtoniani philosophiae naturalis principia mathematica non sono solo il titolo di un libro, ma un vero e proprio programma di ricerca estensibile anche alle scienze sociali mediante la ricerca di un apposito linguaggio (non necessariamente di tipo logico- matematico).
La prospettiva ermeneutica, se correttamente intesa, mediante la prassi, sembra fornire un modello epistemologico adeguato anche per la gramsciana filosofia della prassi. Secondo questa prospettiva possiamo collocare anche il discorso scientifico all’interno di una ben precisa prassi storicamente determinata facendo emergere così, non solo il carattere storico della scienza, ma anche i presupposti culturali e filosofici della ricerca scientifica. In questo senso si può anche mettere in luce il carattere ideologico della scienza. Ciò non esclude, comunque, l’efficacia pratica delle teorie scientifiche e quindi la loro verità di fondo. Quello di Gramsci non è un realismo acritico e dogmatico, quanto piuttosto un realismo critico e pragmatico.
- Gramsci e la logica.
Alla nascita della scienza moderna si svolse un acceso confronto fra i fautori della vecchia logica aristotelica come linguaggio proprio della scienza, soprattutto in funzione dimostrativa, e i novatores, come Galileo che invece proponevano la matematica per la stessa funzione. Fino a Leibniz logica e matematica costituivano due linguaggi alternativi del discorso scientifico-filosofico. Leibniz fu il primo ad intuire la possibile identificazione di logica e matematica mediante l’utilizzo di un opportuno simbolismo. La nascita della logica matematica a metà del XIX secolo costituisce una tappa importante di questa evoluzione. Liberò la logica dalle incrostazioni metafisiche (si pensi ancora alla logica hegeliana), ma anche da quelle psicologistiche (come ancora in Boole). I progressi della logica matematica influenzarono anche la filosofia tanto che i neopositivisti fecero della logica il linguaggio ufficiale della scienza. Il rigore della logica avrebbe dovuto emendare la conoscenza scientifica da qualunque presupposto di natura metafisica non verificabile, ovvero non falsificabile nella versione popperiana. Ora questo modello mal si adattava, nonostante tutti gli sforzi fatti, alle cosiddette scienze dello spirito, ovvero alle scienze sociali. Già Dilthey aveva colto la difficoltà dell’applicazione del metodo sperimentale esaltato dai positivisti alle scienze storiche. Proponendo di distinguere fra scienze nomotetiche e scienze ideografiche. Nonostante tutto, però, anche la versione logico-matematica non faceva altro che approfondire il discorso aristotelico degli Analitici, trascurando completamente i Topici. Così la scientificità si è configurata secondo il modello proposto dalle scienze fisico-matematiche, trascurando completamente dialettica e retorica. L’epistemologia contemporanea penso che abbia dimostrato ampiamente che ridurre la conoscenza scientifica a mero algoritmo di calcolo del valore di verità o falsità delle teorie scientifiche risulta essere alquanto riduttivo del discorso scientifico che invece non è solo sperimentale e dimostrativo ma anche argomemtativo. E l’argomentazione presuppone quegli artifici dialettici (contra) e retorici (pro) propri di ogni discorso argomentativo. La scienza non fa eccezione: si pensi, per esempio, al ruolo della metafora nella scienza. Con ciò cade definitivamente il paradigma neopositivistico della scienza e si entra in un nuovo orizzonte epistemologico fatto non solo di logica ma anche di storia della scienza, non solo di esperimenti ma anche di presupposti culturali, antropologici, della ricerca. La scienza si avvicina alla vita, al linguaggio naturale, all’arte, alla religione e alla filosofia. Chiarire il rapporto fra logica, dialettica e retorica è, quindi, uno degli aspetti maggiormente rilevanti ed attuali della ricerca gramsciana.
- Gramsci e la traducibilità.
Il problema della commensurabilità o incommensurabilità dei linguaggi e delle teorie scientifiche è un altro di quei problemi che Gramsci affronta in modo originale. Il problema non può essere risolto meccanicamente o schematicamente. Quel problema per Gramsci è equivalente a quello della traducibilità dei linguaggi. Questa, a sua volta, è la premessa della traduzione da un linguaggio L1 ad un linguaggio L2. E così come è praticamente impossibile una traduzione letterale senza interpretazione, allo stesso modo la possibilità di commensurare una teoria T1 ad un’altra T2 presuppone che T1 e T2 non siano completamente estranee l’una all’altra bensì che abbiano almeno qualche elemento comune che ne garantisca la commensurabilità. Ma questo significa che si deve controllare non solo la forma logica delle teorie ma anche il contesto culturale e quindi la sostanziale continuità linguistico-culturale tra il vecchio e il nuovo.
Il linguaggio scientifico non è una asettica struttura linguistica depurata dalla logica (e quindi sterilizzato), ma una componente antropologica del più complesso processo di conoscenza umana che si definisce solo all’interno di una vera e propria antropologia della conoscenza. Questa, anche per Gramsci, è l’unica prospettiva in grado di render conto non solo dei progressi scientifici, ma anche del carattere specificamente sociale dell’impresa scientifica all’interno di un bene determinato contesto storico. Storia della scienza e filosofia della scienza non dovrebbero essere mai disgiunte, pena una immagine della scienza puramente formale ed astratta ma del tutto avulsa dal contesto in cui è nata. Pura forma senza sostanza. Tecnica senza filosofia e quindi saggezza. Il discorso scientifico, quindi, non può essere, in una prospettiva gramsciana ridotto ad una formula logico-matematica. Pur svolgendo la logica e la matematica un ruolo fondamentale nello sviluppo della scienza, questa non si esaurisce in quelle. La scienza va vista, piuttosto, come un aspetto di quel più ampio patrimonio culturale che ha caratterizzato l’evoluzione umana in contesti storici diversi e alle volte conflittuali ma che, forse proprio per questa dialettica, è riuscita a stabilire “ciò che è comune a tutti gli uomini”, purché, come ricorda Gramsci “essi abbiano osservato le condizioni scientifiche di accertamento”.
Maurizio Congiu