Approfondimenti
IL CARNEVALE IN SARDEGNA
“I quaranta giorni della Quaresima ricordano i quaranta giorni di digiuno fatti da Gesù nel deserto, i quali dovrebbero essere d’esempio e monito per i fedeli che s’avvicinano a celebrare la passione e morte del Maestro. Nel Medioevo la Quaresima dovette essere assai rigorosa: niente carne, grassi, dolci, banchetti, e niente feste, per non dire del digiuno totale da fare nella Settimana Santa.
La Chiesa romana non poteva chiedere di più al popolo, anzi sentiva di dover riequilibrare l’evento. Ecco allora la concessione del Carnevale, un periodo lungo quasi come la Quaresima (ma in realtà molto episodico, puntiforme), dedicato alla baldoria e alle sfrenatezze.
Il Carnevale è ritenuto un fenomeno tipicamente italico, espansosi nel Medioevo per tutte le regioni neolatine assieme all’evangelizzazione: quindi in Francia, Spagna, nei paesi viciniori dell’Est. I colonizzatori neolatini portarono poi il Carnevale in America.
Ma non è vero che il Carnevale sia nato in Italia; e nemmeno è vero che la Chiesa abbia concesso il Carnevale come programma riequilibratore. Dovette farlo passare come tale, nell’ambito di una più ampia ideologia che ricollocava e incastonava ogni e qualsiasi festività popolare nell’ambito del calendario cristiano, in un ambito che cancellava ogni altro tempo e ogni altra forma di civiltà. Riaprire il discorso sul Carnevale e farlo passare come eredità e concessione cristiana, tornava comodo alla Chiesa al fine di far sparire in un sol colpo le feste precristiane del Nuovo Anno: poiché quelle conservavano una dottrina assai più pericolosa della sola spensierata sfrenatezza che, obtorto collo, la Chiesa concedeva al popolo. In verità, il Carnevale non è mai stato simpatico alla Chiesa.
Si dice che la Chiesa col Carnevale abbia fatto sparire d’un colpo i Saturnalia e i Bacchanalia. Ma cos’erano tali feste? Prima occorre accennare agli antefatti. Nel 217 a.e.v. Annibale aveva superato l’Appennino e si trovava a un passo da Roma. Un esercito mobilitato di bel nuovo non riuscì a fermarlo e fu rovinosamente sbaragliato al lago Trasimeno. Per arginare il gravissimo pericolo fu nominato un dittatore, Quinto Fabio Massimo: ma fu un palliativo. Ripristinato il consolato, Roma nel 216 subirà a Canne la più grande disfatta della storia. Si può immaginare in quali stenti e paure fosse tenuto il senato e il popolo romano. La prima nomina di Quinto Fabio Massimo era stata a dir poco necessaria. C’era in ballo la quasi certezza che il Lazio e la porzione d’Italia già unita a Roma sarebbero stati perduti. I patrizi romani sarebbero diventati dei miserabili servitori del Cartaginese. I senatori erano atterriti dall’irrefrenabile timore di perdere tutti i loro vastissimi possedimenti terrieri. La collaborazione del proletariato fu oltremodo necessaria e ricercata; si era tornati nientemeno che ai momenti sciagurati dell’Aventino. Il patriziato capiva d’essere sull’orlo dell’abisso, e dovette concedere qualcosa alla plebe. Concesse i Saturnalia.
Celebrati in origine per un solo giorno, il 17 dicembre, la loro popolarità crebbe finchè divenne una festa che durava una settimana: così i Saturnalia finivano il 23 dicembre. Dopo le guerre annibaliche fu tentato a più riprese d’accorciare la festa, ma invano. Augusto tentò di ridurla a tre giorni, e Caligola almeno a cinque. Ma quei tentativi causarono rumorose e massicce rivolte. Quindi quella festività dal passo lungo rimase un appannaggio duraturo della plebe.
Per i Saturnali veniva eletto un Saturnalicius princeps quale maestro delle cerimonie. Le quali comportarono anche il riposo scolastico, e fu consentito il gioco d’azzardo, persino agli schiavi. Questi furono esentati dalle punizioni e trattati dai loro padroni con rispetto, persino serviti a tavola. Beninteso, il capovolgimento dell’ordine sociale era superficiale, la licenza degli schiavi e della plebe fu contenuta entro rigidi confini. C’era il capovolgimento ma non il sovvertimento dell’ordine sociale.
Quanto ai Baccanali (o Antesterie) essi riguardavano anzitutto i Greci, per quanto poi fossero stati trasferiti a Roma con disdoro della classe senatoria, assai rigida verso ogni licenza e sfrenatezza orgiastica. Ma si sa che l’Impero romano fu un melting pot dove tutto concorse e si fuse. Lo stesso periodo di sfrenatezza esisteva in Egitto. Il Navigium Isidis (‘carro navale di Iside’, che diede la stura alla tradizione dei carri allegorici di tutta la tradizione italica e neolatina), comportava la presenza di gruppi mascherati, come attesta Apuleio (Metamorfosi XI).
«La religione isiaca ci aiuta a capire le origini del Natale cristiano. Numerose divinità femminili, simboli della fecondità e della maternità, vengono spesso raffigurate nell’arte religiosa con in braccio o a fianco un bambino. Una primitiva ma assai efficace figura stilizzata di donna con un bimbo a lato è stata ritrovata di recente su una stele emersa nel corso di scavi effettuati sul monte Sirai, in Sardegna, a poca distanza da Carbonia: i Cartaginesi avevano qui un loro antico centro abitato e l’immagine rappresenta la dea fenicia Tanit… Ma è soprattutto in Egitto che i simulacri di Iside, madre del divino infante, che allatta o tiene in braccio il piccolo Oro, ci appaiono come il prototipo delle madonne cristiane e del bambino Gesù… Il grande filologo tedesco Eduard Norden ha raccolto sin dagli anni venti un abbondante materiale sulle feste che si celebravano in Egitto agli albori della nostra era per salutare la “nascita del sole”, in occasione del solstizio d’inverno. Nella notte tra il 24 e il 25 dicembre in Alessandria d’Egitto si esponeva ai fedeli la statuetta di un divino fanciullo, figlio di Iside, salutato da gioiose acclamazioni rituali: “Esultate! La Vergine ha partorito, la Luce sta crescendo”. Analoghe cerimonie si svolgevano nella notte tra il 5 e il 6 gennaio per salutare il sorgere dell’anno nuovo (la festa della “apparizione solare”, o dell’Epifania)».
Presso i Romani la fine del vecchio anno era rappresentata da un uomo coperto di pelli di capra, portato in processione, colpito con bacchette e chiamato Mamurius Veturius. Era considerato il fabbricante dell’ancile, uno piccolo oblungo scudo sacro caduto dal cielo durante il regno di Numa Pompilio e portato in processione ogni anno.
Antropologicamente più interessanti dei Saturnali sono le Antesterie o Baccanali, allorchè passava il carro di colui che doveva restaurare il cosmo dopo il ritorno al caos primordiale. In Babilonia poco dopo l’equinozio primaverile veniva riattualizzato il processo originario di fondazione del Cosmo, descritto nella mitica lotta di Marduk contro Tiamat. Durante queste cerimonie si svolgeva una processione nella quale erano allegoricamente rappresentate le forze del Caos che contrastavano la ricreazione dell’Universo. Nella processione vi era anche un carro a ruote sul quale stavano le allegorie del Dio Luna o del Dio Sole.
Il Capodanno di Babilonia è basato su di lui. La festa primaverile comincia con vari giorni di preghiera e purificazione dei santuari (come le nostre novene). Poi il re si presenta dinanzi al dio supremo Marduk e si umilia: il sacerdote lo fa inginocchiare, lo spoglia delle insegne, lo schiaffeggia, gli tira le orecchie. Nell’ottavo giorno parte la grande processione delle statue divine che dai vari santuari vengono fatte confluire nel tempio dell’Akitu, alla periferia della città. Qui si celebra un mimo sacro, simile ai “misteri” del nostro medioevo.
Lo storico delle religioni Mircea Eliade scrisse appunto (Il mito dell’eterno ritorno) che ogni nuovo anno è una ripresa del tempo al suo inizio, quindi una ripetizione della cosmogonia. Pertanto i combattimenti rituali nel Carnevale, la presenza dei morti rappresentati dalla gente mascherata, le orge e altro, sono elementi denotanti il passaggio dal Caos alla Cosmogonia. I morti in tale fase riemergono e sono contemporanei ai vivi, poiché il tempo si è annullato. Le cerimonie carnevalesche hanno valenza purificatoria.
Secondo Eliade, «la restaurazione del caos primordiale, in quanto tale, precede ogni creazione, ogni manifestazione di forme organizzate» e sul livello cosmologico l’orgia corrisponde al Caos, alla pienezza finale, al Grande Tempo, all’istante eterno, alla non-durata. La presenza dell’orgia nei cerimoniali che segnano divisioni periodiche del tempo, tradisce una volontà di abolizione integrale del passato mediante l’abolizione della Creazione. La confusione è illustrata dallo sconvolgimento delle condizioni sociali, dalla sospensione delle norme. Lo scatenarsi della licenza, la violazione dei divieti, la coincidenza dei contrari, mirano alla dissoluzione del mondo. La comunità è l’immagine del mondo che si dissolve e si rinnova, essa restaura il Gran Tempo mitico del caos o dell’apocalisse.
In primavera, quando la terra comincia a manifestare la propria energia, il Carnevale segna un passaggio aperto tra gli inferi e la terra dei vivi. Le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate, e gli si prestano dei corpi provvisori mediante la maschera, che ha significato apotropaico. Le forze oscure degl’inferi concorrono alla fecondità della Terra e fraternizzano allegramente coi viventi. Infine il tempo e l’ordine del cosmo, sconvolti dal Carnevale, vengono ricostruiti con un rituale comprendente la lettura di un “testamento” e il “funerale” del Re Carnevale mediante arsione del fantoccio o annegamento o decapitazione.
CARNEVALE, CARNASCIÁLE, CARRASEGÁRE, CARRESEGÁRE
Wagner nel Dizionario Etimologico Sardo esordisce registrando il lemma del centro-Sardegna karrasekáre, log. karresegáre ‘carnevale’; Carta greca 31: καρησεκ(άρη); Stat. Sass. I, 113 (39r): innanti de carrasecare; I, 114 (39r): sas festas de natale de carrasecare. Egli traduce il lemma dal lat. carne + secare, ossia ‘tagliare’, ‘interrompere il nutrimento della carne’, dunque una formazione come l’it. carnelasciare; sp. carnestolendas o il gr. απόκρεως.
Wagner sembra non avere scelta; lo stesso DELI interpreta l’it. Carnevale (apparso nel sec. XIII) o Carnasciale (apparso col Cavalcanti nel 1297) come, rispettivamente, < lat. carnem levare o carnem laxare ossia ‘togliere la carne’ o ‘lasciare la carne’, con riferimento al digiuno e penitenza della successiva Quaresima.
Ma suona strano che un periodo di follia, di licenza, di capovolgimento delle usanze, che appare come stacco e alternativa rispetto al tran-tran della vita quotidiana, debba ricevere il nome dai caratteri di rigore e severità che sono propri di un periodo immediatamente successivo (la Quaresima). Dobbiamo ammettere che il pressappochismo degli etimologisti indoeuropeisti e romanzi si è lasciato imprigionare, anche in questo caso, dalle paronomasie: si sono precipitati ad inventare un lat. carnem levare perché Carnevale gli assomiglia parecchio!
In realtà il Carnevale nel mondo Mediterraneo è vecchio come la nostra civiltà, risale al Neolitico, ed è sempre stato un periodo di capovolgimento, di rottura delle usanze e della moralità tradizionali. Il log. e centr. Carrasecáre, Carresegáre non ha niente da spartire col ‘tagliare la carne’ (nel senso di privarsene) ma ha la base nell’akk. qarnu(m) ‘potenza, potere’ degli umani + seḫu ‘rivoltarsi, distruggere, dissacrare’, col significato complessivo di ‘dissacrare il Potere, i potenti’. È quindi una rivolta non-violenta contro tutto ciò che gli uomini potenti hanno fatto al popolo durante un’intera annata.
Quanto all’it. Carnevale, l’etimologia è la seguente: akk. qarnu(m) ‘potenza, potere’ degli umani + (w)âru(m) ‘andare contro, scontrarsi con’, col significato complessivo di ‘andare contro il Potere’.
Per l’it. Carnasciale (sardo Carrasciále), abbiamo akk. qarnu(m) ‘potenza, potere’ degli umani + šalû(m) ‘sommergere, annegare’, col significato complessivo di ‘annegamento del Potere’.
(…)”
Fonte:
Monoteismo Precristiano in Sardegna, Salvatore Dedola
[10. Il Carnevale in Sardegna]