Approfondimenti
LA LINGUA “PAN-MEDITERRANEA”
“Gli studi filologici in epoca paleobabilonese.
La serietà dell’impegno degli ambienti colti di Babilonia nei confronti di quella che potrebbe definirsi la questione della lingua accadica e del problema della permanente comprensione della preziosa eredità letteraria e spirituale del mondo sumerico è testimoniata dal fiorire degli studi filologici fin dall’età paleobabilonese. Senza voler attribuire, come pur si è fatto, un particolare valore scientifico ai testi relativi, si deve riconoscere in essi la testimonianza preziosa di un atteggiamento analitico-descrittivo nei confronti di fenomeni linguistici che è la prova di una sviluppatissima sensibilità per i dati lessicali e grammaticali e il fondamento della lunga tradizione di bilinguismo letterario, conservatosi dopo la sostanziale scomparsa dell’elemento etnico sumerico e della lingua sumerica come lingua parlata, verificatasi durante l’età paleobabilonese. Accanto a prontuari di forme verbali e nominali che rivelano un’attenta osservazione delle qualità morfologiche, sono numerosissimi, e risalgono nei prototipi in gran parte all’età paleobabilonese, gli elenchi di segni cuneiformi, disposti per serie analogiche secondo il loro valore fonetico, ovvero secondo la loro conformazione e complessità grafica. Altri elenchi più complessi, che si sono rivelati utilissimi all’indagine scientifica moderna per definire i numerosi valori fonetici dei segni sumerici e le corrispondenze sumero-akkadiche, comprendono in tre o quattro colonne il segno, la lettura in sumerico, il nome akkadico e, talora, la traduzione accadica del valore lessicale sumerico. Oltre questi testi, molti altri, codificati in serie fisse di cui sono pervenuti gran numero di frammenti per l’ampia diffusione che essi avevano nelle scuole scribali, erano redatti in sumerico e in akkadico e contenevano ampi gruppi di vocali relativi a determinati argomenti; tali prontuari, se pur sono di esclusivo interesse lessicale, assumono estrema importanza per la ricerca moderna, sia per la dilatazione del patrimonio lessicale sumerico e accadico che essi forniscono, sia per la messe di pur scheletrici dati tecnologici e di informazioni sulla cultura materiale. Infine, tra i più significativi linguisticamente sono gli elenchi che giustappongono vocaboli accadici rari e desueti ad altri, pure accadici, ma di uso corrente.
Note sul vocabolario mediterraneo.
Dopo la precedente nota sulla filologia paleobabilonese, non ho motivo d’insistere sul linguaggio accadico.
Sento però il bisogno d’apparecchiare almeno una manciata di etimologie sarde e mediterranee lato sensu (tra le migliaia da me indagate) chiaramente appartenute alla Seconda Grande Koiné Linguistica. Questa cenosi (koiné) ebbe anch’essa come base la lingua sumerica e quelle semitiche, ma in questo paragrafo preferisco non fare referimento alla Mezzaluna Fertile, preferendo parlare tout court di Grande Cenosi Mediterranea: infatti i suoi vocaboli si ritrovano sparsi un po’ per tutte le terre bagnate dal Mare Mediterraneo, comprese la Sardegna e l’Italia. Così come ho inteso far capire presentando gli esempi della Prima Cenosi, anche per la Seconda i vocaboli da me addotti tendono a far prendere coscienza di un fatto importantissimo ai fini della ricerca scientifica, che è questo: la Cenosi fu comune a tutte le sponde del Mare Nostrum, senza che si possa essere in grado d’individuare un focus originario.
Il metodo per capire se un vocabolo mediterraneo non appartenga eventualmente alla Prima Grande Koiné è il seguente: esso deve mostrare una certa qual complessità articolatoria (bi-trisillabo) rispetto ai monosillabi sumerici, nel senso che quelli debbono apparire traslati nel nuovo vocabolo come un’agglutinazione già consolidata da secoli. Principalmente, un vocabolo può essere mediterraneo (quindi della Seconda Cenosi) se attiene a processi di civiltà maturati in questo mare nel Neolitico o nell’Età dei metalli.
So bene che gli accademici sardi intendono per “mediterranei” tutti i vocaboli sardi che rimangono (volutamente) inespressi alla propria erudizione: vocaboli etichettati anche come “perimediterranei”, “prelatini”, “protosardi”, “protoindoeuropei”, e pure con altri aggettivi che per ammissione degli accademici debbono rimanere ignoti, non indagati, incomprensibili, sigillati. Nulla quaestiō: io vado avanti per la mia strada.
BREVE VOCABOLARIO ETIMOLOGICO DELLA KOINÉ MEDITERRANEA
(…)
CARRESEGÁRE sardo ‘carnevale’. Wagner nel DES esordisce registrando il lemma centr. karrasekáre, log. karresegáre ‘carnevale’; Carta greca 31: καρησεκ(άρη); Stat. Sass. I, 113 (39r): innanti de carrasecare; I, 114 (39r): sas festas de natale de carrasecare. Traduce dal lat. carne + secare, ossia ‘tagliare’, ‘interrompere il nutrimento della carne’: formazione come it. carnelasciare; sp. carnestolendas o gr. απόκρεως. Anche DELI interpretare l’it. Carnevale (apparso nel sec. XIII) o Carnasciale (apparso col Cavalcanti nel 1297) come, rispettivamente, < lat. carnem levare o carnem laxare ossia ‘togliere la carne’ o ‘lasciare la carne’, con riferimento al periodo di digiuno e penitenza della successiva Quaresima. Ma è strano che un periodo di follia, licenza, capovolgimento delle usanze, che appare come stacco e alternativa rispetto al tran-tran della vita quotidiana, debba ricevere il nome dal rigore di un periodo successivo. Il pressappochismo degli etimologisti s’adagia acriticamente al lat. carnem levare perché Carnevale assomiglia parecchio! In realtà la tradizione del Carnevale nel mondo Mediterraneo – non importa come venga di preciso chiamato e organizzato: si tratti di Saturnalia o di altro – è vecchia come la nostra civiltà, risale al Neolitico, è sempre stato un periodo di capovolgimento, di rottura delle usanze e della moralità tradizionali. Il log. e centr. Carrasecáre, Carresegáre non spartisce niente col ‘tagliare la carne’ ma ha base nell’akk. qarnu(m) ‘potenza, potere’ degli umani + seḫu ‘rivoltarsi, distruggere, dissacrare’ = ‘dissacrare il Potere, i potenti’. È quindi una rivolta non-violenta contro tutto ciò che gli uomini potenti hanno fatto al popolo durante l’annata. Quanto all’it. Carnevale, l’etimo è dall’akk. qarnu(m) ‘potenza, potere’ degli umani + (w)âru(m) ‘andare contro, scontrarsi con’ = ‘andare contro il Potere’. L’it. Carnasciale (sardo Carrasciale) < akk. qarnu(m) ‘potenza, potere’ degli umani + šalû(m) ‘sommergere, annegare’ = ‘annegamento del Potere’.
CASU ‘formaggio’, lemma presentato come derivato dal lat. căsĕus ‘cacio’ (aggettivale con radice cas-). Dalla comunanza dei termini sardo e latino consegue che i Sardi avevano le proprie greggi ed i propri formaggi prima dell’avvento dei Romani. Non a caso Cicerone chiamò i Sardi mastrucati, essendo coperti del vello delle proprie pecore. La base comune del sardo casu e dell’aggettivale lat. căsĕus è mediterranea, base nell’akk. kasû ‘rappreso, quagliato’. Stessa base ha il gr. Chaos, concetto e parola già nota agli Accadi.
MADÁLLIA (aqua) o aqua licòrnia è l’acqua benedetta usata contro il malocchio. L’oristanese aqua madallia non è più compreso nella semantica di base, che è antichissima, provenendo nientemeno che dai millenni del Neolitico, da diecimila anni fa, allorché la metallurgia era ancora in mente Dei. La controprova è l’akk. madallu(m), matallu(m) (una pietra preziosa). Questo termine accadico (originariamente pan-europeo e mediterraneo) fu dunque in uso per denotare all’inizio soltanto le pietre preziose, e solo con la scoperta della metallurgia finì per indicare l’altissimo pregio dei nuovi “miracolosi” prodotti, i metalli. Nell’Oristanese resta ancora vivo il concetto di aqua madallia, acqua dotata di poteri divini, soprannaturali. In epoca cristiana passò ad indicare l’acqua benedetta.
MADEDDU. Pittau deriva il cognome dal lat. matella ‘vaso di creta, pitale’. In realtà il termine è più nobile, derivando addirittura dalla celebre casata romana Metellus. A sua volta l’antroponimo latino deriva dall’etrusco Metlυmθ, che Semerano (PSM 110) attesta come attributo poliade, di divinità protettrice della città. Il tutto ha base nel tardo bab. mētellu ‘comando, potere, signore (detto di divinità)’.
MAMMA it. ‘madre’. È posto da Dante nel De vulgari eloquentia fra i vocabula puerilia, e viene ricondotto dal DELI al linguaggio infantile col significato di ‘mammella’, la quale a sua volta è adattamento del lat. mamĭlla ‘piccola poppa’. Errore.
Per la forma sarda mama ‘madre’ anche Wagner annaspa alla ricerca dell’etimo, essendogli sufficiente l’equivalenza fonetica tra lemma sardo e lemma italiano: mama ↔ mamma. In realtà il sardo mama (al pari dell’it. mamma) ha basi sumeriche, da ama ‘madre’. Così pure il latino, che ha mater con base ma– + suff. d’azione -ter. Mama (it. mamma) è raddoppiamento affettivo; o forse la m- iniziale non è altro che l’elemento nominale sumerico mi, usato in composto per indicare la ‘cura amorosa’: m-ama.
MĀNĒS lat. ‘spiriti dei defunti’ (traslato ‘luogo delle ombre’, ‘soggiorno dei morti’); furono sentiti come divinità dell’ultimo riposo. Gli indoeuropeisti non ne hanno ricavato la giusta etimologia, la quale è da ug. mnḥ, ebr. mānō’aḥ ‘riposo, luogo di riposo’, sostantivo della base akk. nâḫu, semitico nūḫ ‘riposare’ (OCE II 466).
NARCÍSO è il nome del notissimo fiore: cfr. gr. νάρκισσος. Iniziò Plutarco (Mor. 647 b) a ipotizzare un rapporto con νάρκη ‘torpore’. Gli etimologisti moderni ribadiscono pedissequamente, non sanno dare però l’etimomogia. Per trovarla occorre riprendere i miti antichi che narrano del fiore. Ovidio: il dio del fiume Cefiso aveva avvolto nelle spire delle sue acque la ninfa Liriope, violandola. Nacque Narciso, che giunto alla giovinezza s’innamorò perdutamente di se stesso lasciandosi consumare o, secondo i miti, suicidandosi, o annegando nell’acqua dove si specchiava. Rinacque però come fiore. Convinti che alla base del nome ci sia νάρκη ‘torpore’, gli studiosi attuali si convincono di quanto già Plinio (N.H. XXI 128) affermava, cioè che il profumo può provocare una specie di torpore. La falsa attestazione è la prova provata che spesso gli antichi (seguiti dai moderni) produssero paretimologie sulla base di paronomasie. Non si è tenuto conto del fatto che il narciso è un fiore d’acqua, nasce ai bordi degli stagni, o in terreni molto umidi. Non è un caso se i vari miti greci, pur nella varietà del racconto, accomunano il personaggio Νάρκισσος all’acqua, ai fiumi, agli stagni. L’etimo si basa proprio su tali concetti: semitico naḫar ‘fiume’, akk. nārum ‘fiume’ + kissu ‘stelo’ (st.costrutto nār-kissu), col significato sintetico di ‘stelo delle acque’.
ROBBA indica il ‘peculio’, la ‘proprietà’, i ‘beni strumentali’, come peraltro in Italia, dove roba indica ‘ciò che si possiede o serve alle necessità del vivere’. Per questo lemma sardo Wagner indicò la stretta origine italiana (e secondo DELI deriverebbe dal francone rauba ‘armatura’, ‘veste’), mentre invece è mediterraneo, base nell’akk. rubbû ‘migliorare, accrescere’, ‘portare a piena crescita’ (specialmente di vigna). Cfr. ingl. robbery ‘beni acquisiti con la grassazione’, to rob ‘derubare’, robber ‘ladro’.
ROCCA. Nel sardo comune per rocca s’intende una ‘roccia’, uno ‘sperone roccioso’, una ‘eminenza rocciosa’; mentre in italiano rocca è una ‘fortezza di grandi dimensioni costruita di solito in luogo elevato’ (1313-19, Dante; sec. XIV. F. Buti: “Rocca si chiama la fortezza ben fornita”; anche nel lat. medievale di Salimbeni, 1281-88). Noto derivato è roccaforte, termine che precisa meglio gli attributi della rocca. DELI dà queste informazioni ritenendo rocca di origini mediterranee, passato (forse) per il latino parlato. Tuttavia non ne conosce l’origine. In realtà l’origine è nota, essendo il sum. ru ‘architettura, costruzione architettonica’ + ku ‘rafforzare’, col significato di ‘costruzione rafforzata’, ‘casa-forte’. Va da sé che il sardo rocca nel senso di ‘roccia’ non è altro che una paronomasia, un adeguamento dell’arcaico termine sumero alla lingua francone, la quale operò anche in Còrsica per parecchi secoli in seguito all’annessione di tale isola all’Impero franco. Infatti il termine italiano roccia, corrispondente del sardo rocca nel senso di ‘aggregato di minerali dovuto a fenomeni geologici’ è dell’antico francese (sec. XII) ma con una prima testimonianza scritta nella Galloromània già nel 767: “multas roccas et speluncas conquisivit”, Annales regni Francorum (DELI).
ROSA è nome di uno dei fiori più belli al mondo, chiamato così anche in Sardegna fin da tempi remoti, a dispetto di quanti marcano l’origine dal lat. rŏsa, il quale a sua volta è invece, semplicemente, nome mediterraneo e vicino-orientale, al pari di quello sardo. Tutti richiamano come base il gr. ρόδον: ma c’è troppa distanza fonetica. In verità rosa ha base nell’akk. rusû(m) (un genere d’incantesimo). Nome che è tutto un programma. (…)”
Fonte: Grammatica della Lingua Sarda Prelatina, Salvatore Dedola
[2.3 La Seconda Grande Koiné Linguistica. La lingua “mediterranea”]