Approfondimenti
L’Anima del Nuraghe
Attraverso il nuraghe – uno degli antichissimi edifici sacri per eccellenza – ecco il percorso dalla Nigredo passando per l’Albedo fino alla Rubedo, narrato da Giorgio Baglivi secondo il quale “dire che il nuraghe era la Casa dell’Antenato equivale a dire che il nuraghe era l’immagine del Sé tradotta in un modo ancora primordiale e, quindi, più autentico. È come se i nuragici abbiano voluto dirci: vieni, é qui, in questa torre, il segreto della vita, è qui il segreto dell’anima”.
L’elaborazione simbolica dell’essere umano, secondo Baglivi, è evidente in modo particolare nel nuraghe Is Paras di Isili: “c’é molto dell’elaborazione simbolica dell’essere umano in questo nuraghe, celata e manifestata nella sua perfetta forma archetipica. C’é un bel pezzo della nostra storia evolutiva, il ritaglio di una storia vecchia di miliardi di anni e che, per fortuna, non si è ancora esaurita. Guardare nel fondo di un Pozzo Sacro oppure risalire fino alla terrazza della tholos (ove fosse ristrutturata a dovere, naturalmente) può avere, dal punto di vista psicologico, una funzione enormemente benefica, perché consente di comprendere quali sono gli aspetti profondi della nostra personalità, come siamo fatti dentro e quali segrete motivazioni ci fanno soffrire oppure ci riempiono di gioia. Ciò che accadeva a un nuragico quando, con spirito visionario, simboleggiava nella sua mente il saliscendi dell’antenato mitico ricevendone conforto e consolazione, può, mutatis mutandis, accadere a ciascuno di noi. Ciò che l’Isola cinquemila anni fa chiamò Nuraghe (la Luce fra Cielo e Terra) si può sperimemare ancora oggi”. Di seguito pubblichiamo un estratto dedicato all'”anima del nuraghe”, dal libro “Alchimie dell’anima – eternità e immortalità dell’anima in Mesopotamia, nell’Egitto delle Piramidi e nella Sardegna dei Nuraghi”.
L'Anima del Nuraghe
È difficile trovare nel mondo antico un edificio sacro più suggestivo di Is Paras di Isili. Sì, certo, la Grande Piramide di Cheope, dirà qualcuno. Oppure Orroli, Barumini, Torralba, Nolza e mille altri nuraghi. Oppure, ancora, la ziqqurat di Nippur. Qui, però, abbiamo davanti a noi un nuraghe molto particolare, soprattutto se lo rapportiamo alle modalità con le quali esso fu progettato ed edificato e grazie alle quali esso apparve all’inizio della sua storia ultramillenaria: un’unica, altissima, torre a camere sovrapposte, nessun’altra torre o corpo laterale aggiunti, un ingresso sublime, una splendida cupola, un catafalco ligneo all’interno, un Pozzo Sacro alla base e, sopra ogni cosa, un calato. Fortezza dell’autocrate, casa del re-pastore feacico, polo per allineamenti astro litici, torre di avvistamento, palazzo di Atlantide, oppure, come é infinitamente piu probabile, tempio del chiefdom nuragico e memorial del rispettivo ramo genealogico? Casa dell’Antenato incastonata nel cuore stesso della Grande Madre, nel punto mediano della doppia fonte. Questo é Is Paras. Is Paras è uno dei più straordinari edifici sacri dell ’antichità. Bisogna avere i paraocchi per non accorgersene. Con Is Paras possediamo, del mondo antico, un frammento di verità non proprio minuscolo. Chiunque, anche per un solo istante, abbia provato a scavare nelle profondità della propria anima, giungendo magari a toccare i fondali dell’Ombra, non dovrebbe far fatica a ritrovare in questo nuraghe un simbolismo ormai molto familiare, quel simbolismo che si colloca oltre ogni religione rivelata perché custodisce un segreto che, a ben guardare, non é neppure un segreto e perché racconta un mito che, riflettendo bene, non é neppure un mito. C’é molto dell’elaborazione simbolica dell’essere umano in questo nuraghe, celata e manifestata nella sua perfetta forma archetipica. C’é un bel pezzo della nostra storia evolutiva, il ritaglio di una storia vecchia di miliardi di anni e che, per fortuna, non si è ancora esaurita. Guardare nel fondo di un Pozzo Sacro oppure risalire fino alla terrazza della tholos (ove fosse ristrutturata a dovere, naturalmente) può avere, dal punto di vista psicologico, una funzione enormemente benefica, perché consente di comprendere quali sono gli aspetti profondi della nostra personalità, come siamo fatti dentro e quali segrete motivazioni ci fanno soffrire oppure ci riempiono di gioia. Ciò che accadeva a un nuragico quando, con spirito visionario, simboleggiava nella sua mente il saliscendi dell’antenato mitico ricevendone conforto e consolazione, può, mutatis mutandis, accadere a ciascuno di noi. Ciò che l’Isola cinquemila anni fa chiamò Nuraghe (la Luce fra Cielo e Terra) si può sperimemare ancora oggi. Gli eventi psichici profondi non tramontano. Non sarebbe male, perciò, conoscere la lingua delle immagini applicandola a un nuraghe durante un’eventuale visita. Gli antichi amavano il cielo e la terra e soddisfacevano con grande spontaneità i bisogni profondi della mente, ma le architetture che ci hanno lasciato in eredità attestano in maniera inequivocabile di un’antica credenza e, insieme, di una storia infinita.
Dire che il nuraghe era la Casa dell’Antenato equivale a dire che il nuraghe era l’immagine del Sé tradotta in un modo ancora primordiale e, quindi, più autentico. È come se i nuragici abbiano voluto dirci: vieni, é qui, in questa torre, il segreto della vita, è qui il segreto dell’anima. Forse non troverai l’anima dell’Antenato in questo nuraghe, forse non troverai il Deus Absconditus, ma hai buone probabilità di trovare almeno la tua, di anima. C’é tutto il segreto dell’anima universale in questo nuraghe, il segreto di un viaggio iniziato in una notte incantata venti miliardi di anni fa circa, un viaggio forse progettato da qualche misteriosa entità divina o forse frutto del caso. Chi può dirlo? Vieni, dunque. Al terrore della discesa, all’angoscia dello sprofondamento si accompagna sempre l’elevazione, la gioia della risalita; il buio pozzo che attira l’anima è quello stesso che disseta, che purifica, consentendo la trasformazione e, con essa, la resurrezione. Certo: mai viaggiare da soli nella notte dell’anima. Ma non devi aver paura. Gli Antenati hanno già fatto il viaggio per noi. Gli Antenati vivono fra cielo e terra. Gli Antenati sono eterni. ll Nuraghe è eterno. Questo è il messaggio, neanche tanto ermetico, celato e manifesto nel nuraghe mirabile. Ci si chiede per qual ragione i sardi non siano piu riusciti, da allora, ad esprimere un cosi sublime senso della bellezza sacra. Ci si chiede chi abbia conculcato e soffocato le energie creative di questo popolo; chi abbia ridotto al silenzio gli Antenati dell’Isola, i Padri dei Padri. Dov’e finita tutta quell’energia psichica grazie alla quale poté fiorire la civiltà nuragica, tutta quella riechezza emotiva che trovò espressione nelle grandi architetture del passato, tutto quel libero e benefico fluire di contenuti dell’inconscio che consisté nell’edificare le architetture piu complesse e sacre della vita: le architetture dell‘anima? Davvero i giorni dell‘edificazione del Sé collettivo sono finiti per sempre? Davvero l‘unico mito rimasto attivo è quello dei “redentori del male”? Purtroppo, gli Antenati Divini non abitano piu nei nuraghi, l’anima arcaica deve aver da tempo abbandonato la dimora antica ed é difficile che vi risieda o che vi possa ritornare. Deve essere accaduto ciò che accadde, migliaia di anni fa, al dio greco Pan il giorno in cui si sparse la voce che il dio era morto. Pan ho megas tethneken.
Probabilmente deve essere morto anche il Nur dei popoli nuragici. Nur ho megas tethneken.
Arduo sarebbe, perciò, tentare di ritrovare, in Is Paras, l’anima del costruttore-capostipite, il proto sciamano, il Grande Vecchio. Se c’è qualcosa di eterno negli uomini riuscire a metterla in salvo richiede una saggezza straordinaria. Nel corso di quasi tremila anni Is Paras (che di anni dovrebbe averne, nel complesso, quasi cinquemila) è state devastato, saccheggiato e spogliato di tutto ciò che rappresentava l’antica devozione. l frati dell’ottocento volevano addirittura abbatterlo, anche perché non volevano che si scoprisse che i riti e i culti fra mondo antico e mondo moderno non erano, poi, cosi dissimili: purificarsi con acqua, chiedere la grazia, offrire l’obolo… Is Paras oggi è ingabbiato in strutture che nulla hanno a che fare con il sacro. Rischioso è, per l’anima, fidarsi degli immemori. I corpi eterni del mondo antico sono quasi tutti in rovina ed e, perciò, abbastanza improbabile ritrovare l’anima nuragica in una tholos. La dea madre e gli antenati non abitano più nei nuraghi e a noi moderni non resta che prenderne atto. Quell’idea del divino non esiste più. Di quei morti non si sa più nulla (non é stata neppure ritrovata la Tomba dei Giganti Genealogici di Is Paras!). Oggi il pensiero della morte si insinua, come un ladro, nelle luccicanti finzioni dell‘effimero. L’anima all’angelo e il corpo al loculo! E al diavolo la morte! Meno se ne parla, meglio é! Qualcuno, presso il nuraghe, prova a ripetere, ma solo per gioco, il saliscendi ermetico dell’anima, non foss’altro che per ricavame l’illusione di una guarigione magica; qualcuno prova a fare di nuovo esperienza dell’antico rito dell’incubazione, magari per provare a sanare, almeno per una notte, le ferite dell’anima. Forse non é vano. L’importante, pero, é saperlo fare. Visitare i fondali dell’Ombra può essere pericoloso se non c’é un Grande Vecchio ad assisterci. Ci si chiede chi abbia privato i sardi dell‘antica perizia costruttiva, chi li abbia derubati del gusto per la forma col quale si decideva, anticamente, di edificare in grande e per sempre; della finezza simbolica con cui si interpretava, anticamente, il sacro; non ultimo, dell‘antica saggezza mediante la quale si ricorreva ai rituali per stornare la violenza dai villaggi e vivere in pace. Sono state le invasioni, le dominazioni (i romani, i cartaginesi, i bizantini, i pisani, gli spagnoli, i piemontesi, eccetera, eccetera), diranno i miei pochi lettori. Duemila anni di privazioni e sofferenze. E poi il cristianesimo, con quella sua ingenua pretesa di eliminare il passato (il male) dalla scena del mondo semplicemente demonizzandolo. Certo è che, da quando qualcuno li ha convinti che i nuraghi erano fortezze o case, i sardi hanno smesso di avvicinarsi ai nuraghi con timor sacro, con sacra inibizione. ls Paras era una fortezza, ancora oggi molti dicono o suppongono, non accorgendosi in questo modo di attribuire alla parte più malefica dell‘Ombra l’edificazione di un edificio così sublime e cosi sacro all’anima arcaica. La lotta di tutti contro tutti avrebbe impedito alla civiltà nuragica di sopravvivere persino per un solo giorno! Il mondo nuragico sopravvisse, invece, per più di duemila anni, facendo ricorso ai mille accorgimenti del conscio e dell’inconscio per stornare la violenza e l’odio, assicurando, in questo modo, la pace e l’armonia fra i popoli nuragici.
Superfluo ricordare che in ciascuno di noi è custodito tutto il passato ancestrale, tutto l’odio e tutto l’amore possibili, tutta la santità e tutta la malvagità di cui la natura ha saputo e voluto dotarci nel corso dei quattro milioni di anni della nostra storia evolutiva. Non sbagliava Jung a dire che dentro di noi, nel nostro inconscio, nella parte più profonda del nostro essere, risiede l’Ombra, lo spirito malvagio, l’impulso omicida, ma risiedono anche l’umanità, la pietà, la saggezza, l’amore reciproco: il Grande Vecchio. Una storia cominciata quando da una stella sconosciuta giunsero gli elementi fondamentali della vita. Caso? Progetto? Chi mai potrebbe rispondere a questa domanda? ll nuraghe non era una fortezza, ma era la casa del pacifico signore dei luoghi, obbietteranno alcuni studiosi di antichità nuragiche amanti del mito greco e dell’economia domestica. Se la prima proposta (il nuraghe fortezza) assume i caratteri dell’assurdo, la seconda assume quelli dell‘improbabile. Casa? Casa, quella? Chi oserebbe definire casa una torre singola a camere sovrapposte, con un ingresso altissimo, una maestosa cupola, un pozzo sacro alla base, un calato ed una scala ad elica? Tu! Sì, tu! Perché “credi” che ls Paras fosse un tempio? Verrebbe da rispondere con modalità junghiane: io non “credo” che Is Paras fosse un tempio, io “so” che era un tempio. Ma forse non é neppure necessario far ricorso alle appercezioni inconsce per comprendere il mistero delle architetture arcaiche. Difficile sostenere che il nuraghe Is Paras fosse una casa e ancor più difficile sostenere che fosse una fortezza. È sufficiente fargli una visita, magari col cuore in gola e la sofferenza nell’anima per comprenderlo. L’intero luogo testimonia il sacro. C’é tutto il necessario in questo nuraghe per comprovarne la funzione numinosa: fulcro della piccola comunità residente nel villaggio circostante, deposito delle memorie e dei valori condivisi, temenos per la manifestazione del divino. Non manca nulla. C’é persino il segno inconfondibile di una primordiale cosmologia nuragica: il betilo. Migliaia di anni fa operarono qui, nel villaggio (purtroppo non ancora scavato) di Is Paras, le antiche figure del passaggio nella morte: janas, sciamani, accabadoras. A quel tempo edificare un nuraghe era, insieme, un gesto sacro e un segno di pace. Nella storia dei popoli vi sono sempre state evolute psicologie e non é scritto da nessuna parte che quelle nuragiche non fossero armoniche, ospitali, solidali e pacifiche. Quando diciamo che lo stato di guerra era la condizione normale dei nuragici ci stiamo, forse, rifugiando nella petizione di principio di un qualche involontario ambasciatore dell’Ombra? Oppure stiamo ubbidendo, come automi, ai dettami bimillenari della visione patriarcale del mondo? Gli antichi avevano un contatto con la psiche molto più agevole rispetto a noi moderni. Loro sì, sapevano come tenere a bada l’Ombra! Anticamente, per stornare la violenza dai villaggi si faceva ricorso a vari accorgimenti. Per fare un esempio, i conflitti sempre possibili fra i villaggi nuragici clella vasta area che comprendeva gli odierni Barumini, Nurri, Orroli, Escolca, Laconi, Mandas ed Isili venivano appianati mediante i riti, i culti e le feste che si tenevano periodicamente presso il Santuario Federale di Serri. Lì, il sempre possibile scatenarsi delle forze distruttive fra le tribù e i clan del territorio poteva essere prevenuto oppure assorbito trovando una soluzione pacifica ed evitando, in questo modo, che le comunità andassero incontro alla rovina reciproca. Lo stringersi delle piccole comunità nuragiche intorno al Santuario Federale di Serri, luogo di riti, di feste, di amori, di gare, di incontri e di scambi, fu la scelta piu sensata, più equilibrata e meno nevrotica che a quel tempo si potesse fare. Se, come è ormai certo, quello di Serri era un Santuario Federale, abbiamo tutta la legittimità di ipotizzare che l’intero territorio fosse solidale e pacifico e che, per conseguenza logica, i nuraghi non fossero strumenti di guerra. ll Santuario Federale di Serri è molto più che un indizio di convivenza pacifica fra le genti nuragiche. In questo caso sembriamo possedere molto più di un frammento di verità, oserei dire possedere una prova. Ritornano, come si vede, gli insegnamenti dell’antropologia sociale, ritornano le indicazioni di Levi Strauss e di tanti altri studiosi, storici, archeologi, ma anche genetisti, psicologi, neurobiologi. Alcune recenti indagini sugli apparati neurologici (vedi Rizzolatti in bibliografia) degli esseri umani hanno dimostrato che gli esseri umani sono felici solo quando sanno che tutti gli altri esseri umani sono felici. Secondo l’antropologo D. Brown, dell’Università della California, il rifiuto della violenza ha sempre accompagnato gli uomini, fin dalla notte dei tempi. Gregory Berns, docente di psichiatria presso l’università di Atlanta sostiene che i gesti generosi facciano affluire più sangue al cervello e proprio nelle zone del piacere. Carlo Matessi, studioso di genetica molecolare, ha scoperto che gli esseri umani sono geneticamente altruisti. Come ha scritto di recente Umberto Veronesi, l’altruismo é iscritto nei nostri stessi geni. Più che allo spirito guerriero dovremmo, allora, attribuire l’edificazione dei nuraghi allo spirito profetico? Ma é giunto il momenlo di rientrare nel nostro tema, considerate che non é della valenza sociologica del nuraghe che dobbiamo trattare, bensì di quella alchimistica. Morte del corpo e incardinamento dello spirito di Iolao nel nuraghe ls Paras di Isili: questo é l’argomento del presente capitolo!
Ricollochiamoci, dunque, al tempo dell’edificazione del nuraghe, ritorniamo alla motivazione originaria, alla ragione stessa del suo nascere. Ritorniamo a lolao, alla metafora. Come prevedeva l’Alchimia dell’epoca, per garantire eternità al costruttore-capostipite bisognava congiungere gli opposti. Questo i nuragici lo sapevano bene, tanto quanto gli egizi o i mesopotamici, si presume. L’anima può vivere in eterno solo nel punto di congiunzione fra il cielo e la terra. Il problema, per il nuragico, era che il costruttore-capostipite era anche il Figlio-Toro della Dea. Se la Dea Madre era la dea del cielo e della terra, come avrebbe potuto il Figlio-Toro diventare re del cielo e della terra senza scivolare nel dramma dell’incesto? Domanda difficile. Al lettore può, forse, essere utile riflettere un momento sulla soluzione che il cristianesimo ha dato alla sua “coniunctio oppositorum”. Apriamo, perciò, una piccola parentesi. Quando Cristo nasce, nella cultura ebraica é gia emersa la figura del Padre. Il politeismo è, dunque, gia stato soppiantato dal monoteismo. Il Dio-Padre degli ebrei e dei cristiani abita, come é noto, in Cielo e la Terra sta diventando fatalmente il luogo dell’abominio. “Padre nostro che sei nei cieli”, recita ancora oggi una bellissima invocazione cristiana. Gli esseri umani, di Dio figli degeneri, abitano sulla terra e soffrono. Una “coniunctio” purchessia, persino monca od ancipite, é dunque necessaria. Per conseguirla il Padre invia sulla terra il Figlio, ingravidando, mediante lo Spirito Santo, una donna (Maria). Il cielo e la terra, il divino e l’umano a questo punto, si congiungono. “Tu scendi dalle stelle, o re del cielo, e vieni in una grotta”, recita la canzone della Natività. Ricompare Ia stella, ricompare la grotta, ricompaiono i segni inconfondibili della celeste e terrestre avventura umana.Nella grotta la donna, l’elemento femminile indispensabile in ogni “coniunctio” che si rispetti, mette al mondo un Figlio (il Cristo), che è anche Dio. “Santa Maria, Madre di Dio”, recita una nota preghiera cristiana. La “coincidentia oppositorum” comincia a prendere forrna, anche se il Dio nato da Maria sua Madre, cioè da una donna in carne ed ossa figlia di Dio che diventa Madre di Dio, rende il dramma originario del cristianesimo di una complessità inaudita. Dante Alighieri ha provato a venirne a capo da par suo. Nell’invocazione a Maria presente nel Paradiso Dante definisce Maria: “Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio”. Desta minori problemi attribuire a una madre la verginità, rispetto al chiamare una donna “figlia del proprio figlio”, soprattutto quando questa donna, figlia di Dio, è anche sua Madre. L’archetipo applicato al cristianesimo sembra, comunque, un po’ monco. La coniunctio oppositorum cristiana continua a manifestarsi con difficoltà (persino quando, come é accaduto di recente, Maria viene dichiarata “assunta”). Il divino sembra allontanarsi sempre più, sembra farsi quasi irraggiungibile. Sarà per questo che il mondo cristiano (soprattutto in ambito protestante) ha conosciuto, con la guerra di tutti contro tutti, l’apparire dei demoni? Malgrado l’lncarnazione, la terra, per i cristiani (San Francesco e Santa Chiara esclusi) sembra essere diventata ii regno del turpe, dell’orrido e del demoniaco. Jung la pensava allo stesso modo quando dichiarò (vedi sempre l’intervista ad Eliade del 1952) che nel cristianesimo non c’é vera coniunctio, dal momento che i cristiani non riescono a confrontarsi seriamente con la propria Ombra. L‘incesto (non quello letterale, naturalmente!) nasconde, quindi, un desiderio di rinascita psichica e questa formidabile intuizione di Jung penso possa risolvere definitivamente l’enigma dell‘incesto arcaico. Ciò detto chiudiamo la parentesi e ritorniamo al nostro nuraghe.
“Il nuraghe ls Paras sorge nel bronzo medio come torre semplice, priva di corpi aggiunti e antemurale”, scrivono T. Cossu e A. Saba in un loro noto lavoro su Is Paras. Al di là delle divergenze sulle cronologie (il nuraghe Is Paras sorse, a mio parere, almeno nel 2500 a.C.), é illuminante il fatto che, quando nacque, Is Paras si presentava, sempre secondo Cossu e Saba, come torre singola, ancorché svettante e bellissima. Solo nel corso della sua storia millenaria a questa prima torre se ne aggiunsero altre a causa della sua progressiva trasformazione da casa dell’Antenato in luogo di culto dell’Antenato. A noi, comunque, interessa solo la comparsa della prima torre, quella singola, quella che non aveva ancora corpi aggiunti, quella maestosa, quella bellissima. Doveva proprio essere uno spettacolo! Come scrive F. Lo Schiavo (ex Soprintendente Archeologico per le Province di Sassari e Nuoro) nella stessa pubblicazione di Cossu e Saba parlando, in generale, dei nuraghi: “… gli archeologi fanno fatica a convincere che queste antiche torri fossero altissirne, non di rado raggiungendo e superando i 25 metri mediante la sovrapposizione di piani e camere voltate”. Per quanto concerne il sottoscritto, gli archeologi non hanno fatto nessuna fatica. La costante di tutte le architetture religiose, arcaiche e moderne, é sempre stata quella di tendere verso l‘alto, verso il cielo e, da questo punto di vista, il nuraghe oggetto delle nostre riflessioni non fa eccezione. Is Paras, però, evidenzia anche la tensione verso il basso, verso il sottosuolo, verso quel che il cristianesimo successivamente chiamò “inferno”, ma che per gli antichi non aveva nulla di infernale, nulla di demoniaco. Tutto quel che vorremmo sapere sul mondo antico é, dunque, custodito in questo nuraghe. Spiace vederlo abbandonato a sé stesso. Spiace sentire da taluni ripetere che era una fortezza o una casa; o che era allineato ai solstizi e agli equinozi; o che gli entrava il sole dentro e cosi via. Tutto quel che vorremmo interpretare come sacro arcaico é custodito in questo nuraghe: per una supplica, un’apparizione, un sogno rivelatore, una guarigione, un oracolo, un miracolo. Cose così, cose dell’anima. Ed ecco una riproduzione fotografica del celebre nuraghe (inevitabilmente riprodotto con i corpi aggiunti).
Ed ecco la maestosa torre centrale di Is Paras con il sublime ingresso:
Se c’é ancora qualcuno disposto a chiamare “casa” o “fortezza” un edificio vecchio di cinquemila anni, svettante, ornato di ingresso altissimo, dotato di una maestosa cupola voltata, munito di un calato e, per di più con un pozzo profondissimo al suo interno, si accomodi pure. Noi per ulteriori approfondimenti sulle caratteristiche architettoniche di Is Paras rinviamo agli studi di Fadda, Moravetti, Cossu e Saba. Oltre che, naturalmente, a quelli del Lilliu e della Lo Schiavo. La volta a cupola di Is Paras “termina con il pavimento della camera del primo piano, nel quale si apre un ampio vano-deposito, di uso sia funzionale che di alleggerimento strutturale, indispensabile per sovrapporre a quella esistente la muratura di copertura a tholos della camera e quella del secondo piano, a sua volta coperto da un terrazzo, raggiungibile dalla scala che doveva avvitarsi ad elica fino alla sommità”, scrive la Lo Schiavo. La nostra studiosa qualche rigo dopo, sempre parlando di Is Paras, aggiunge: “Al di là della descrizione, due aspetti sono oggetto di forte interesse per il Lilliu: l’eventualità di una persistenza sul sito, indiziata dal rinvenimento in superficie intorno al nuraghe di un frammento di vaso tripode Monte Claro e l’interprctazione della cisterna scavata nella camera centrale come pozzo sacro. Si tratta di due spunti da seguire con la massima attenzione, non solo per la ricostruzione della storia e delle fasi di vita e di uso del monumento, ma anche ai fini dell’inquadramento di esso nell’ambito del territorio”. Ci si chiede, a questo punto, pcrché i due “aspetti di forte interesse”, cioé “la persistenza del sito e il pozzo sacro”, non abbiano interessato altri che la Lo Schiavo, il Lilliu e pochi altri studiosi (ad esempio, il Moravetti). Certo è che, se l’interesse fosse stato più diffuso e più partecipato, il quadro interpretativo poteva anche essere diverso. E forse poteva esser diversa l’intera storia dei nuraghi (e la storia stessa della Sardegna). Come si può parlare di “persistenze sul sito” attribuendole ai Monte Claro e, al contempo, evitare di prendere in considerazione l’ipotesi che lo stesso nuraghe sia di piena ascendenza Monte Claro? Come si fa ad ipotizzare la presenza di un Pozzo Sacro all’interno della torre principale ed evitare di prendere in considerazione l’ipotesi che l’intero nuraghe fosse un luogo di culto? I nuraghi sono del bronzo omerico, non possono non essere del bronzo omerico!
Quindi erano fortezze, oppure abitazioni di re-pastori. Lo impone l’archeo-logica, che altro non è, a ben vedere, se non ortodossia nuragologica. Evidentemente vi sono delle resistenze inconsce. Ma è proprio tanto difficile accettare l’idea che vi sia stata, 5000 anni fa, nel mondo intero e quindi anche in Sardegna, una religione completamente diversa da quella cui siamo stati abituati da duemila anni a questa parte? Una religione a carattere “materno” cui si affiancò, nel tempo, la religione degli antenati divini e, almeno a partire da alcuni popoli del mediterraneo, quella degli dei? Una religione in cui il divino era indissolubilmente legato a una dimensione più naturale, più concreta e più terrena dello spirito? Una religione che metteva al centro di tutto l’anima, il suo passato, il suo presente e il suo destino? Certo, per un moderno assai difficile sarebbe smontare e rimontare le strutture simboliche della propria mente. Difficile risalire alla costruzione originaria della propria psiche, al tempo in cui gli dei non erano ancora nati e, quindi, non erano ancora diventati articolazioni del pensiero profondo. Difficile immaginare un divino dalle caratteristiche femminili. Difficile guardare nel fondo di un Pozzo Sacro e rivivere l’angoscia dello sprofondamento e, al contempo, la gioia infinita della risalita. Difficile fare i conti con la propria Ombra. Difficile riudire, proveniente dalla torre, la voce dello sciamano nuragico. Difficile rivedere la Jana aggirarsi silente nel villaggio. Difficile immaginare un Antenato che scende dal cielo per esaudire una supplica. Meglio prendere in considerazione altre ipotesi, quelle che non ti confondono la mente, quelle che non ti scombussolano l’anima: polo archeoastronomico, controllo del territorio, base militare, casa, casa-forte, casa del re, del principe, della principessa e così via. Meglio andare sul sicuro, evitando accuratamente il contatto con la parte più profonda di noi stessi. Meglio usare categorie moderne, magari rifugiandosi nel mito: Ulisse, Dedalo, Dan, Ercole, Atlantide. L’operazione di scavo nella psiche, nel mondo delle immagini archetipiche primordiali e nella stessa storia personale e collettiva puo essere pericolosa. Si rischia la frantumazione del Sé. L’inconscio fa paura (anche se é questa paura che bisogna vincere una volta per tutte). Ma continuiamo. “II monumento venne eretto su un piccolo rilievo marnoso a 505 metri sul livello del mare, adoperando blocchi di calcare marnoso e organogeno di forma subquadrata, disposti a filari regolari”, scrivono ancora Cossu e Saba nel loro lavoro. Le nostre studiose, poi, così proseguono: “La torre, alta m. 12, é di pianta circolare con un diametro esterno di m. 12,50/12,70 ed uno spessore murario di m. 2,30, che presso l’ingresso aumenta notevolmente fino a raggiungere i m. 4.60″. Ben strana fortezza o casa se Io “spessore murario” deIl‘ingresso era il doppio di quello posteriore! Che senso avrebbe tutto ciò, in una fortezza o in una casa? Quale utilità poteva avere, in una fortezza o una casa, simile difformità nello spessore murario? In realtà, lo spessore murario quasi doppio dell‘ingresso doveva dare, alla tribù, l’idea della monumentalità e della sacralità della tholos. Tanto è vero che, una volta varcato l’ingresso alto tre metri dell’edificio ciclopico, si accedeva (la sacerdotessa accedeva!) in un breve corridoio con un soffito fortemente e sacramente ascendente (dai m. 2,80 ai m. 5.75!). Ciò non basta. In questo corridoio è presente una strana nicchia trapezoidale. alta m. 3 e profonda m. 1.40. Cosa ci stava a fare, in una presunta fortezza o in una supposta casa, una nicchia? Era una garitta, ripetono ancora oggi alcuni studiosi, non accorgendosi di quanto ridicola possa essere questa loro ipotesi. Entrava il sole dall’alto illuminandola, ripetono, dal canto loro, altri studiosi. In realtà, quella nicchia serviva a custodire l’icona dell’Antenato Mitico. (…)
Lo schema è quello stesso della Grande Piramide di Cheope. Ma proseguiamo ancora con la nostra analisi. All’intemo della tholos, alta m. 11,80 e con una pianta circolare del diametro di m. 6,40/6,20, vi è un pozzo, scavato dagli archeologi fino a una profondità di m. 5 (i Iavori di scavo del pozzo sono stati, come già accennato, interrotti per paura di cedimenti del banco argilloso). Che quello fosse un Pozzo Sacro (custodente la “forza genealogica” dell‘Antenato o degli Antenati) e non una “buca” o una “cisterna” qualsiasi lo hanno supposto e lo suppongono ancora oggi alcuni studiosi. Se, però, gli studiosi suppongono, l’antropologia religiosa e la paleopsicologia comprovano. Sembriamo, quindi, possedere un altro frammento di verità, anche se finora volutamente trascurato o tenuto in ombra. Quando nacque il pozzo di Is Paras doveva essere molto profondo, ma tutto ciò non può più destare meraviglia: più profondo il pozzo, più svettante la cupola.
Comincia o no a farsi evidente Ia “coincidentia oppositorum” tentata dalla piccola comunità nuragica per l‘anima dell’Antenato-Capostipite? Nient’altro che un nuovo corpo di pietra per opporsi alla morte chiedeva quello spirito! Certo, volare in alto, libero e felice neI firmamento invisibile, ma anche ritornare sulla terra, stare per sempre accanto ai luoghi cari della vita, alimentarsi, cibarsi e dissetarsi eternamente! E, soprattutto, abitare, abitare Iì per sempre! Lì. In quel luogo fatto per durare all’infinito, tutt’altro che una “tenda poco ferma piantata nel deserto”. Vivere Iì per sempre, fra l’aIto e il basso, il lieve e il greve, il cielo e Ia terra, la materia e lo spirito, la luce e le tenebre! Fatte queste premesse, non è affatto improbabile che il “soppalco” di cui alcuni archeologi ipotizzano la presenza nella torre centrale di Is Paras e di cui sono rimaste tracce avesse la funzione di catafalco sopra il quale venne, secondo il mio modo di vedere le cose, adagiato dopo la morte il corpo del costruttore-capostipite. Per breve tempo, però. In Sardegna non c’è traccia di mummificazione dei cadaveri. Questa pratica funeraria sembra essere stata più tipica dell’antico Egitto. Si deve quindi supporre che nell’IsoIa Sacra l’archetipo della Dea Madre fosse molto più imperioso, con conseguente obbligo del seppellimento per chiunque, quindi anche per i costruttori-capostipite, nella tomba collettiva (la summenzionata Tomba di Giganti Genealogici) dopo l’estremo tramutamento della sua anima.
L’anima nella Torre, il corpo nella Tomba di Giganti
“Sulla parete destra è situato, a m. 5,25 di altezza, sopra il 16° filare, l’accesso alla scala che conduce alla sommità della terre. Si tratta di un ingresso quadrangolare architravato …che immette in un pianerettolo, lungo m. 1,40, illuminato da una presa di luce rettangolare, orientata a est. Il finestrino é all’altezza del primo gradino della scala, seguito da un percorso a piano inclinato, che gira da sinistra verso destra per m. 4,50 e, nell’ultimo tratto, di m. 4, da 11 gradini”, scrivono ancora Cossu e Saba. Le nostre archeologhe, poi, aggiungono: “Sulle svettamento attuale della torre, avente un diametro di m. 10, si apre al livello del pavimento, spostata verso est, l’imbeccatura di un ripostiglio a pezzetto, profondo poco più di tre metri e con una larghezza che va dai m. 0,50 ai m. 1,25 nel fondo. Quanti misteri! Noi, oggi, pensiamo all’anima (se ci pensiamo ancora!) come a un‘essenza che raggiunge, Deo concedente, l’al di là paradisiaco. Col loro candore gli antichi pensavano, invece, che l’anima dell’Antenato potesse, se invocata e alimentata, scendere dal cielo e sostare accanto a loro in una dimensione molte naturale e, soprattutto loro prossima. Certo, nutrendo l’anima dell’Antenato i nuragici stavano, in realtà, nutrendo sé stessi; tentando di placare lo struggimento di quello spirito stavano, in realtà, placando il loro stesso struggimento. È la Sensucht in versione nuragica: desiderare qualcosa o qualcuno che attualizza qualcosa o qualcuno che non c’é. Il sacro. Ipotizziamo, allora, un possibile rito di seppellimento del costruttore-capostipite di Is Paras facendo ancora una volta riferimento all’universale simbolico della nostra metafora. (…) Noi ancora una volta facciame ricorso ai segreti dell’Alchimia nelle sferze supremo di avvicinarci all ’archetipo che riassume in sé tutti gli archetipi: la coniunctio oppositorum geocosmica. L’ anima di Iolao deve trasmutare. Il processo deve, però, essere graduale. Non é facile portare a termine la Grande Opera, ci vuole tempo, pazienza e silenzio. All’inizio c’è lo sprofondamento nel tellurico, la Nigredo, il nero più nero del nero. Non c’é testo di Alchimia che non ne parli. L‘anima, se vuol salire, deve prima scendere puntuale, il Pozzo Sacro di Is Paras sembra volerlo cenfermare. “La preparazione inizia con la ricerca della prima materia, letteralmente il materiale che sarà oggetto della trasformazione”, scrive J. Ramsay in un suo interessantissimo lavoro sull’Alchimia. Il nostro, poi, così prosegue: “Gli alchimisti hanno descritto questa fase come un viaggio verso la ‘miniera’, luogo sotterraneo e oscuro. È qui che va ricercata la materia prima. Che cosa possiamo dire al riguardo? La prima materia si trova a grande profondità ed é la cosa più fisica e misteriosa che esista […..] Al livello più profondo e più puro si tratta del terreno, dello stato originario, uno stato più profondo del caos che é stato denominato la ‘Madre di tutte le cose create’. È la manciata di terra nera che si dice Adamo abbia portato con sé una volta cacciato dal Paradiso”. La notte più scura dell’anima, la notte nera più nera del nero (nigrum nigrius nigro), é dunque quella dello sprofondamento ineluttabile. È lì, nel luogo dello smembramento, che può trovare le energie necessarie il ricongiungimento. Dopo l’opera al Nero, dopo la discesa nel grembo della Madre Terra, dopo la discesa nel Pozzo Sacro, dopo la Nigredo, il Nur di Iolao é pronto per la risalita. Inizia, per lui, l’Albedo, l‘Opera al Bianco. E l’ascensione progressiva dell‘anima. Grazie all’Albedo, l’anima di Iolao comincia ad ascendere. L’attende la cupola voltata e, infine, il cielo di tutti gli Antenati, di tutti gli spiriti liberi. La terza e ultima fase del tramutamento dell’anima di Iolao é la Rubedo. “L’essenza della rubedo é l’arrossamento”, scrive il Ramsay. Il nostro, poi, così prosegue: “Nella rubedo ogni cosa si unisce alle altre e così facendo entra in una nuova dimensione. L’alto e il basso si incontrano e si sposano. Si crea un senso di sospensione e insieme di eternità”. Grazia alla forza del Rosso, Iolao può, dunque, conseguire la Rubedo. Iolao sale finalmente in cielo e, contemporaneamente, é pronto a ridiscendere sulla terra. Lo farà tante volte e tante volte ancora. Da adesso in poi, per l’intera tribù, Iolao sarà per sempre l‘Antenato, il Grande Vecchio. Le genti verranno e gli chiederanno l’Oracolo, offrendo in cambio cibi, oggettini sacri, vasi, lucerne, brocche e ciotole. Da adesso in poi, la sua anima potrà eternamente alimentarsi nel calato, eternamente discendere sulla terra ed eternamente risalire in cielo grazie alla potenza del betilo. Ma cos’é, di grazia, un calato? A cosa mai poteva servire un ripostiglio – calatoio posto sul piano di svettamento della tholos? In sintesi, é l’ultimo frammento della nostra verità. Vediamo insieme di che cosa si trattasse. Alberto Moravetti, intervenuto negli scavi del 1975/1977, esprime sul calato e sul calatoio del nuraghe Is Paras queste riflessioni notevoli: “Sul piano di svettamento, ricavato nello spessore murario, si apre un ripostiglio – calatoio – tipo quello presente nel Santu Antine di Torralba e in numerosi altri nuraghi – che mantiene la larghezza iniziale (0,50) sino a m. 1,50 di profondità per poi allargarsi gradualmente fino a raggiungere la larghezza di m. 1,25 alla massima profondità (3,05)”. Questo di notevole riporta il Moravetti.
Ora abbiamo tutte Ie possibilità di dare una risposta all’ultima delle nostre domande. Cos’era e a che cosa serviva il calato presente in ls Paras e in molti altri nuraghi? Oggi viene chiamato calato il copricapo a forma di cesto un tempo indossato dalle antiche divinità della terra (Gea, Demetra, eccetera) e dalle sacerdotesse addette al loro culto. Il termine indica anche il capitello che nelle sculture e nelle archiletture classiche poggiava sulla testa delle cariatidi. In origine il calato era, invece, il luogo alto del tempio dove venivano depositati cibi e offerte per lo spirito dell‘Antenato (o per gli spiriti degli Antenati). II cerchio sembra, quindi, chiudersi. I minuscoli frammenti di verità sembrano comporsi in un mosaico credibile. Cos’altro aggiungere? Il nuraghe Is Paras é uno dei più straordinari edifici sacri dell’antichità. È sufficiente dargli un’occhiata per convincersene. Noi abbiamo interpretato secondo i dettami dell’antropologia religiosa, della paleo psicologia e dell’antica Alchimia. Al lettore la libertà di valutare l’interpretazione come meglio crede, non senza, però, aver dato prima un’occhiata ai testi di cui trattasi e secondariamente, aver visitato il nuraghe mirabile. Di lolao abbiamo persino un frammento di epoca molto tarda, la rappresentazione di un volto maschile impressa sulla terracotta e ritrovata presso Is Paras.
Giorgio Baglivi, “Alchimie dell’anima – eternità e immortalità dell’anima in Mesopotamia, nell’Egitto delle Piramidi e nella Sardegna dei Nuraghi”, L’Anima del Nuraghe, pagg. 198-210.