Approfondimenti
La Maschera, dal Neolitico ad oggi: Marija Gimbutas e Mircea Eliade
La maschera, dal Neolitico ad oggi. Marija Gimbutas
“I volti delle statuette, quelle maschili come quelle femminili, presentano una forma particolare: alcune mostrano mascelle decisamente angolate, mentre altre sono perfettamente ovali. Queste caratteristiche, insieme ad altre, come quelle degli occhi stilizzati, conferiscono alle statuette un aspetto ultraterreno (Fig. 4 e 5; vedi anche Fig. 13 e 28). Una disamina più accurata rivela che queste peculiari “caratteristiche facciali” rappresentano maschere.

Per diversi decenni gli archeologi non sono riusciti a riconoscere le maschere delle statuette, anche quelle con una linea di demarcazione ben in vista tra il volto e il contorno della maschera. Di fatto, nel sito di Achilleion nella Grecia settentrionale (risalente al periodo dal 6400 al 5600 a.C) si trovano statuette di divinità gravide con maschere staccabili su colli a bastoncino.
In casi eccezionali, le statuette tengono in mano una maschera, invece di indossarla (Fig. 6).

Nelle culture contemporanee che ancora usano maschere a scopi rituali, le maschere servono per personificare una forza sovrannaturale. Gli antichi Greci adoperavano le maschere nel teatro e nei riti per lo stesso motivo: per incarnare le divinità, le eroine e gli eroi. A maggior ragione le maschere avevano un simile scopo nell’Europa neolitica, e in effetti le maschere dei Greci indubbiamente risalgono all’epoca neolitica. Gli Antico-europei del neolitico usavano maschere a grandezza naturale nei riti e nelle cerimonie. Probabilmente alcune erano di legno e sono andate perdute. Ma sono state trovate maschere a grandezza naturale in ceramica e in ferro risalenti alla cultura Vinca e nel cimitero di Varna, in Bulgaria. Gli archeologi hanno scoperto maschere neolitiche anche nei siti del Vicino Oriente, nella grotta di Nahal Hemar del deserto di Giuda, Israele. Le statuette dell’Europa antica raffigurano probabilmente officianti che indossano maschere, o divinità vere e proprie. Alcune statuette mascherate mancano di fattezze specifiche, ma altre presentano dettagli complessi che rivelano quali aspetti e funzioni incarnasse la dea. Oltre alle maschere, che gli artisti dell’Europa antica usavano spesso per indicare particolari aspetti del divino femminile, talvolta le statuette assumevano direttamente forme animali: si trovano piuttosto di frequente statuette con testa animale, per esempio serpente, uccello, maiale e orso. Tutte queste manifestazioni, con maschere o senza, rappresentano l’intimo rapporto tra il genere umano, la natura e il divino, tipico del neolitico. Studiando i segni tracciati sulle maschere e sulle statuette, si può comprendere come il divino si manifestasse attraverso i diversi animali. Queste maschere rappresentano gli animali sacri della dea, e indosso a una figura umana esse incarnano una fusione di forze umane e animali. Le statuette hanno becchi d’uccello, occhi di serpente, corna d’ariete, musi d’orso o di maiale. Talvolta le statuette con corpo d’animale portano maschere umane. Cervo, pesce, alce, serpenti, orsi, arieti, maiali, cani, cinghiali, porcospini, uccelli acquatici (per nominarne solo alcuni) svolgono tutti parti importanti nel simbolismo religioso”.
Marija Gimbutas, “Le Dee Viventi”, pagg. 40-42, Parte I – Cap. 1: Immagini di dee e di dèi, par. “Le Maschere”.
Maschera, Sciamanismo, Divinità: la versione di Mircea Eliade
Mircea Eliade fornisce una versione i cui punti di convergenza con la visione di Marija Gimbutas possono aiutare a comprendere meglio la valenza delle maschere e dei costumi tipici dei personaggi del Carnevale sardo, con le loro evoluzioni nel tempo. Abbiamo visto, infatti, le tracce etimologiche di un passato in cui, ad esempio, il Componidori e il Mamuthone erano figure sciamaniche riconosciute come tali dalla comunità (click qui). Tali figure sono ancora note e presenti nell’immaginario collettivo come “semidivinità”(si pensi al Componidori considerato “semidio”), e ne conservano i tratti caratteristici nonostante siano state trasformate e inglobate dalle religioni e culture successive. Risulta importante anche esplorare l’origine della parola “maschera” in italiano, “mascara” in sardo, la si trova qui insieme alla discussione su altre 12 parole.
Che funzione e/o che valore hanno avuto la maschera e il costume nel corso del tempo?, e quali le ragioni del panno che talvolta copre il viso o gli occhi dello sciamano? Perchè in alcuni luoghi sono usate, ancora oggi e anche in Sardegna, pellicce o pelli di animali come parte della maschera o in sostituzione della stessa?
“Il costume sciamanico costituisce da per se stesso una maschera e può considerarsi derivato da una maschera originaria. Si è cercato di dimostrare l’origine orientale, eppure recente, dello sciamanismo siberiano adducendo, fra l’altro, proprio il fatto che le maschere, più frequenti nelle regioni meridionali dell’Asia, divengono sempre più rare e poi scompaiono verso l’estremo settentrione. (…) nello sciamanismo nord-asiatico e artico il costume e la maschera vengono valorizzati in modo differente. In certi luoghi (per es. presso i Samoiedi) si vuole che la maschera faciliti la concentrazione. Abbiamo visto che il panno che copre gli occhi o anche tutto il viso dello sciamano ha una funzione analoga. D’altra parte, anche se talvolta non si parla di una maschera vera e propria, non si tratta di cosa molto diversa: per es. le pellicce e le pezze che, presso i Goldi e i Soioti, coprono quasi interamente la testa dello sciamano.
Pur tenendo conto del valore vario ad essa attribuito nei rituali e nelle tecniche dell’estasi, per queste ragioni si può concludere che la maschera ha la stessa funzione del costume sciamanico e che i due elementi possono considerarsi come mutuabili. Infatti in tutte le regioni in cui la si usa (al di fuori dell’ideologia sciamanica propriamente detta) la maschera attesta manifestamente l’incarnazione di un personaggio mitico (antenato, animale mitico, divinità). Da parte sua, il costume transustanzializza lo sciamano trasformandolo, agli occhi di tutti, in un essere sovrumano, quale pur sia l’attributo predominante che viene al primo piano (….)”.
Mircea Eliade, “Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi”, pag. 191, cap V: Il simbolismo del costume e del tamburo sciamanico. Par. “Le maschere sciamaniche”