Insights
Prendere confidenza con le parole
L’essere umano: fottuto dalle parole, dal linguaggio?
“… È ora di cominciare a capire, a prendere confidenza con le parole… non dico con la Parola, con il Verbo, ma con le parole, ecco… invece il linguaggio vi fotte, vi trafora, vi trapassa e voi non ve ne accorgete..!” [Carmelo Bene]
Uno dei modi attraverso i quali permettiamo al linguaggio di trapassarci, si osserva nel fenomeno della cosiddetta “paronomasia”.
Di cosa si tratta? Sembra essere piuttosto frequente, in tutte le lingue. Vediamo cosa succede nel caso specifico del sardo (ma più in generale nelle lingue classificate come “romanze”, compreso l’italiano) e quali possono essere le conseguenze.
Le paronomasie sono il fenomeno di gran lunga dominante nella lingua sarda. Quasi il 100% dei cognomi sono trattati come paronomasie, ma nessuno si accorge di gestirli in quanto tali. Stessa sorte subisce l’enorme maggioranza del vocabolario sardo generico o specialistico. I tentativi di dare un senso a tutte queste parole, ossia di tradurle, generano paretimologie proprio perché si parte dal sentire paronomastico, anziché da una corretta metodologia.
La scoperta di una esorbitante presenza di paronomasie nelle lingue attuali (quindi anche nella lingua sarda) mi ha portato addirittura a formulare la “Legge della paronomasia”, alla quale soggiaciono tutti i popoli che hanno avuto a che fare col vocabolario di altri popoli a loro precedenti. Ci soggiaciono pure i popoli che usano ininterrottamente la propria lingua da millenni. L’uno e l’altro esempio toccano il popolo sardo.Nei dizionari della lingua italiana la paronomasia è registrata esclusivamente come figura retorica (quindi come procedimento volontario), per la quale si accostano due parole di suono simile o uguale, ma di significato differente. I grammatici redattori dei dizionari non avvertono la paronomasia come fenomeno portante nella formazione del linguaggio, e credono sia esclusivamente un gioco voluto, culturale, attuato dal parlante per far risaltare l’opposizione dei significati tramite lo slittamento, il doppio senso, la polisemia, l’equivoco tra due identici simboli espressivi. Gran parte delle battute di spirito e molte barzellette sono formulate con paronomasie. Tale procedimento culturale, proprio perché mira alla risata, accosta due parole foneticamente simili o identiche (ma dalla semantica diversa) allo scopo di far risaltare l’assurdità dell’accostamento. Nessuno studioso ha invece percepito che, al di fuori della creazione volontaria delle figure retoriche, la paronomasia è una legge subita passivamente da tutti i parlanti. Che ad essa siano soggetti pure gli etimologisti nell’esercizio della professione, è imbarazzante constatarlo. Eppure è ciò che è successo nell’indagine dei cognomi sardi: nessuna paronomasia è mai stata evidenziata (e sono parecchie migliaia!), proprio perché erano subite subliminalmente dall’ignaro ricercatore. Lo stesso è accaduto nell’indagine dei vocaboli comuni. Occorre prendere atto che la paronomasia è antica quanto è antica la storia delle lingue e del linguaggio, poiché ebbe origine dalle omofonie. Anche nella lingua sumera ci sono parecchie parole che hanno pronuncia identica o molto simigliante, mentre il significato è completamente differente (polisemia). Sono chiamate omòfone dai grammatici moderni, ed i Sumeri, tanto per distinguerle, le scrivevano con grafemi diversi, altrimenti da quanto facciamo noi, che le scriviamo con gli stessi grafemi e le distinguiamo soltanto nella concettualizzazione della catena parlata. Così, per esempio, il suono /a/ dei Sumeri significa ‘acqua’, e si scrive con un certo segno; quando significa ‘forza’ si scrive in altra foggia.
Il problema si distorce e si complica ulteriormente quando non si riconosce che molti lemmi di un vocabolario sono in realtà antichi composti. Guarda caso, è proprio nei composti che si verificarono i fenomeni di sandhi che modificano la fonetica delle parti in contatto, rendendo spesso irriconoscibili i due vocaboli originari che concorsero alla fusione reciproca. Le variazioni fonetiche, le fusioni, le lacerazioni, gli scontri, tra parole pronunciate all’interno della catena parlata, sono, al presente, assai attivi in certe aree della Sardegna, dove molti vocaboli (non parlo dei toponimi, che fanno la parte del leone) sono continuamente esposti al mutamento fonetico. Questo ribollire rientra tra i fenomeni di sandhi, i quali nella Sardegna meridionale non riescono mai a quietarsi e disporsi secondo logiche condivise ma, come in un cratere attivo, sfriggono perennemente nel crogiolo di fusione. Qualsiasi linguista può recarsi in certe zone, anzitutto nel profondo Campidano, nel profondo Sarrabus, nella profonda Barbagia, per ascoltare parecchi suoni indistinti nella catena parlata, veri e propri “sfarinamenti” delle finali di un vocabolo contro l’iniziale del vocabolo contiguo, cui il parlante affida inconsapevolmente larghe porzioni del proprio inventario fono-semantico.
Tratto da “Monoteismo Precristiano in Sardegna” (cap. I Metodologia della Ricerca Etimologica, par. 1b): Le Paronomasie), Salvatore Dedola, Ed. Grafica del Parteolla, 2012.
Per approfondire, consigliamo l’estratto dalla Grammatica della Lingua Sarda Prelatina, con la voce espansa sulla paronomasia (“La Legge della Paronomasia”) ed etimologie di esempio:
LA LEGGE DELLA PARONOMASIA