Approfundimentu
SA LIMBA SARDA PRIMITIVA
” Sunt milli e milli sas paràulas sardas ki torramus a giùghere assa Primma Manna Koinè. Mi gosat a la ciamare Cenosi cumente sos biòlogos, proite deo bido in sa limba unu mannu organismu biventi etotu. Deo meledo ki sa Cenosi s’est produida candho s’òmine at cumentzadu a akikiare una fòjmma de limbazu: a narre, issu at cumentzadu assumancu 100.000 annos a como, ma aggiummai medas mill’annos primma. De issa neunu istudiosu podest narre nudha, si nono accotzendhesi cun sa sièntzia etimològica ki, si la manizzamus bene, si li donamus unu métodu forte, redesset a produire iscenàrios lughentes ki narant cumente una paràula est nàskida, cumente est istadu ippricadu su cuntzetu k’at generadu cussa paràula.
Bi sunt pacar régulas po appotentare sa Cenosi ki dominat una paràula sarda o latina o greca o semìtica (assa primma, assa sigunda, assa de tres cenosis?). Una réula pertocat tzertamente assa mannària de s’espansione geogràfica dessa paràula. Si una paràula est dessa Sardigna, de s’Itàlia, de middai d’Europa, dessa Rùssia, de su Oriente Afaca, tandho est primitiva. Devessamente, nos diamus àere russas difficurtades a ostèndere s’espansione assuba intreos cuntinentes; depius, non apamus a nd’acciapare su focus. Tzertamente, custa creze non pertocat assas paràulas ki, gràscias a su Rinascimentu italianu et assa deschovrida dessa curtura greca, sunt giutas a accolumare et omologare sos bàrrios de s’eruditzione d’élites peri s’Europa.
Calincuna paràula primitiva est puru cumpartzida dae s’Europa, dae su Mediterràniu, dae sa Mezzaluna Fèrtili, et fintzas dae sa Cina. In custa sorte nos amus sa tarea de seberare si su focus dessa paràula siat s’Estremu Oriente o sa Mesopotàmia o su Mediterràniu, o s’Europa. Unu assempru est su lemma caccu.
Par àteros vocàbulos s’arrejone suffitziente a dimandare su collocamentu issoro in sa Primma Cenosi podest èsser s’antigòriu dessu cuntzetu, spèscias candho issu est esprimidu cun d’unu monosìllabu (es. lat. sūs), proite – zustu su k’iskimus de sa limba sumérica – su limbazu primitivu est istadu esprimidu petzi cun monosìllabos. Medas vocàbulos prisintados inoghe, noantames siant poli-sìllabos, sunt, cumenti si siat, spartzìbbiles sigundu sas antigas bases monosillàbicas.
Innoghe deo allisto petzi una francada de lemmas sardos (e puru latinos, itàlicos, germànicos) pertocantes a sa Primma Cenosi, a manera ki su fenòmenu siat cumpréndidu. Sas etimologias sunt allegadas in limba italiana po àere assumancu tres limbas de cuffrontu.
ÀDANU sardo ‘ginestra dell’Etna’ (Genista aetnea L.); cresce in forma arborea ed è tipica della Sicilia e della Sardegna. Nelle lingue semitiche abbiamo forme similari (come fenicio ’dn ‘signore’, ugaritico adn ‘signore, padrone’). L’etimologia proposta da Paulis NPPS 303-4, basata sulla forma tardo-latina cadanus ‘erba odorifera’, galiz. cádavo, port. cadávo, ceco kadík, russo kadít ecc. aiuta a completare il quadro, in base al quale si dimostra che questo termine arcaico, sparso per tutta l’Eurasia, appartiene alla Prima Grande Cenosi linguistica, quella paleoolitici (o paleo-neolitica), tenuta viva, proprio come dice Corominas citato dal Paulis, «dai popoli portatori della civiltà dei “campi d’urne”», ma sarebbe meglio dire espressamente dai popoli delle steppe, che per decine di migliaia d’anni non fecero altro che vagare per l’Eurasia in cerca di pascoli, tenendo viva la koiné che noi riusciamo ad evidenziare proprio grazie alla presenza di lessotipi diffusi un po’ dovunque.
AEDĒS, antico aidēs, lat. ‘focolare domestico’, ‘casa’, ‘camera’, ‘tempio, dimora degli déi’. Gli indoeuropeisti hanno sbagliato a proporre l’etimologia dal lat. aestŭs ‘ardore, vampa del fuoco’, aestās ‘estate’, gr. αἴθω ‘accendo’, skr. édaḥ, idhmaḥ ‘legno da bruciare’. Essa invece ha base in sum. e ‘casa. tempio’ + de ‘to shape, create’: e-de, col significato di ‘casa edificata, tempio eretto’ (ovviamente in contrapposizione alle capanne di frasche, abituali dimore del popolo). Ciò in opposizione al semitico bait ‘casa’, che normalmente, almeno alle origini, era una capanna, una tenda.
AÈNA, avèna sardo ‘avena’. Il nome di questa piantina è stato accostato al lat. avēna, con la pretesa che il termine sardo derivi direttamente da tale fonte. Il che non è vero. Lo stesso termine latino fu poi accostato, per suo conto, al lit. avižà, lett. àuza, ant.pruss. wyse, asl. ovĭsŭ: ma se ne ignorò l’origine. È nell’accadico che abbiamo la fonte di questo fitonimo mediterraneo e paneuropeo: essa è, per sardo aèna e lat. āvēnā, ḫāwû, amû ‘’lettiera per animali’, ‘spazzatura’ (l’uso che se ne fa ancora oggi); onde i fitonimi sardi enárgiu, avenárzu, enárzu.
AGŌ lat. ‘faccio, agisco’ (durativamente); ‘spingere avanti a sè’ (bestiame); ‘dirigersi’, ‘avanzare, andare’; agmen ‘armata in marcia’; agilis ‘che avanza rapido’; quid agis? ‘a cosa ti stai impegnando?’. Cfr. il parallelo gr. ἄγω, nonchè l’armeno acem ‘io conduco’, irl. -aig ‘egli conduce’, skr. ajati, avest. azaiti ‘egli conduce’. Il verbo faciō è invece usato per indicare l’azione momentanea. La base arcaica di agō è il sum. ag, aka ‘to make’.
ALALÀ, αλαλή è il grido di guerra degli antichi Greci, ma pure un grido in genere, che può essere di gioia, di dolore, ecc. Lo si considera voce onomatopeica (Rocci, Frisk), ma in realtà è una esortazione sumerica (alala, a.la.la) significante ‘al lavoro!’.
ANDÀRE it. ‘muoversi a piedi o con mezzi di locomozione’. Secondo DELI, l’etimologia del lemma è controversa, come dire, ancora ignota. Invece è chiara, avendo base nel sum. du ‘to go’ (vedi il dialettale italico du-ma!, an-dù-ma! ‘andiamo’, sardo an-do ‘vado’). La particella prefissa an- ha basi accadiche, da an, ana (con significato simile al gr. ana).
ARCHÉ gr. ‘principio, cominciamento, origine, prima causa’. Vedi anche il cgn sardo Arca. La base etimologica è akk. (w)arḫu ‘luna’, ‘primo giorno del mese’, ‘inizio della lunazione’.
ARUSPEX, haruspex lt. ‘chi vede il futuro’. Gli etimologisti hanno focalizzato le ricerche sulle interiora (delle vittime), accostandosi al lt. hernia e sbagliando. Sbaglia pure Semerano OCE II 424 a crederlo dall’akk. aḫrû ‘domani’. La base etim. è sum. arua ‘offerta votiva’ (v. Frera HM 53) + -spex < spiciō.
AURÒRA. Equivale alla greca Ἕως, la dèa dalle dita rosate. Non è un caso che i Romani ne fecero l’ipostasi dell’oro (aurum > Aurora) per lo splendore con cui appare. Ma aurum > Aurora era soltanto una paronomasia, poiché i Latini avevano perduto l’antico significato, che invece si scopre ancora nella lingua sumerica, da a’u ‘uomo che trascina le navi, le barche’ + ru ‘struttura, architettura (di un edificio)’ + ra ‘sole, splendore del sole’: a’u-ru-ra ebbe il significato di ‘Colei che trascina la barca del Sole’. Anche il gr. Ἕως ha la stessa origine, da sum. e ‘portar fuori’ + u ‘sonno’, col significato di ‘(Colei che) porta fuori dal sonno (il Sole)’. Aurora fu vista in origine come la paredra del Dio Sole.
AUSPĬCĬUM (lt. per avispicium) ‘osservazione degli uccelli di augurio’; ha, tutto sommato, la stessa base di vātēs ‘veggente, chi investiga il futuro, vate, profeta’. Etimol. akk. awûm ‘parlare, rivelare’, ‘dire qualcosa, parlare a qualcuno’, ‘riflettere su qualcosa’; awātum ‘parola’, ‘segno augurale’, ‘formula’, ‘cominciare a parlare’, ‘ordinare, comandare’.
AVO it. ‘nonno’, apparso prima del 1374 col Petrarca; al pl. ‘antenati’ (1581, T.Tasso). Vocabolo ritenuto dotto dal DELI, originario dal lat. āvu(m), a sua volta di origine indoeuropea col sign. di ‘anziano’. Non discuto l’origine, ma essa è condivisa anche dal campo semitico, v. ebr. āv ‘padre’ ( אׇב ).
BABÁY è uno degli appellativi del Sardus Pater venerato nel tempio punico-romano di Antas. Babay è voce šardana ancora viva nell’antico sardo Babbu, babbáy, con tutte le conseguenze del caso: < sum. babaya < ba-ba-ya ‘old man’.
Va osservato che Babay o Baba (chiamata anche Nintu o Geštinanna, principalmente Ninkhursag) è una grande divinità femminile sumerica corrispondente alla Inanna di Uruk e di altri centri come Nippur. Era la grande dea madre che presiedeva alla fecondità universale dell’umanità, delle greggi, dei campi, ma nella cui personalità, forse particolarmente in alcune città importanti quale Uruk, sono presenti rilevanti aspetti astrali. Da questi ultimi dipendono le connessioni con Anu e soprattutto l’identificazione con la stella del mattino e del tramonto (Paolo Matthiae, 262-263). Baba era dea principale anche a Lagash, altra città sumerica, dove all’inizio della primavera era onorata per diversi giorni. Nell’età neosumerica a Lagash essa si festeggiava anche all’inizio dell’autunno; per assicurare la fecondità universale c’erano le nozze sacre tra il grande dio della città e Baba in un’unione che effettivamente veniva consumata dal re con una sacerdotessa. Ma vedi appresso il lemma babbu.
BABBU ‘padre’, anche ‘Padre Eterno’, pansardo; tosc. babbo. Nelle carte medievali (CSP 15, 262; CSNT 15,63; CSMB 33) prevale patre per designare il proprio padre, almeno nelle donazioni ufficiali dei Giudici, i quali evidentemente, se non altro nell’uso della lingua aulica, erano influenzati dalla lingua latina.
Il termine è collegato con l’akk. abu ‘padre’, cui si è aggiunta nel tempo la b- per influsso di sardo babay ‘babbo’ < sum babaya ‘uomo vecchio’. Il termine si è confuso poi con bābu ‘piccolo ragazzo, bambino’ ed ha contributo ad espellere dalla parlata sarda l’omofono accadico bābu ‘porta (di casa, del tempio, della reggia, della città)’. Ma babbu ha un forte aggancio originario, etimologico e semantico, col sumerico Babay o Baba, che indicava la Gran Madre universale, corrispettiva della Astarte fenicia. Anche qui occorre ribadire quanto già specificato per il toponimo Mara (vedi) a proposito di un’ampia base linguistica cui attingevano sin dal Paleolitico i popoli stanziati nella vasta Europa, nell’Anatolia, nella Mesopotamia. Ad esempio, nella mitologia baltica c’è la dea Baba Yaga, che gli antropologi ricordano essere l’antichissima dea slava della morte e della rigenerazione. I linguisti di quell’area sostengono che l’etimo slavo baba significa ‘nonna’, ‘donna’, ‘pellicano’. Quest’ultimo etimo si collega alla natura aviaria di Baba Yaga, paragonabile all’archetipo della dea-avvoltoio o della dea-civetta della preistoria europea, che personifica la morte e la rigenerazione (Gimbutas 281).
Notisi la strabiliante trasformazione di questo appellativo, inizialmente femminile, che poi è arrivato a denotare una entità maschile, ivi compreso l’appellativo che ancora oggi in Sardegna si rivolge sia al genitore sia al Padre Eterno.
(…)
Isjaminadu s’essentziali apparitzu assemprificativu dessas paràulas dessa Primma Koiné Limbìstica, como k’at bisonzu de incastunà sa Sardigna in cudh’àmbitu arcàicu. Dae milli e milli assempros ammustrados in sos kimbe lìberos dessa Collana Semitica, e puru in custu volùmen de sese, kiesisiat podest cumprèndere e arrejonare ki sa limba sarda de como est sa prus antiga ‘e su mundu (mancarri cun sas limbas ebràica e àraba), una limba ki no est mai morta fintzas dae candho est appàrfida a s’Orìzine dessa tzivilidade.
Amus a cumprèndere proite sa limba-puntaresa (cudha ki nos ciamamus impropriamenti sumérica), noantames issa siat morta dabboi de tres mill’annos dae candho est istada ischrita, goset dessu profetu d’àere invintadu sos grafemas, mentres sa Sardigna, antzis ki bi cumpàrreret s’alfabetu nadu “fenìtziu”, non connoskiat o no impreaiat sas grafias cotzifojmmas dessa Mesopotàmia, noantames ki diat gosare etotu dessa temporada culturale mediterrània fintzas dae tempos arcàicos, a narre, fintzas dae su comintzu dessu Paleolìticu.
Sa non-cundivisioni dessu cotzifòjmmu est signali ki sa Sardigna (mancarri siat istada lìbbara in su mare suo) no est mai istada una potèntzia manna, no b’est redéssida po rajones geogràficas. Infatis est nòdidu ki s’incomentzu dess’ischritura (sa cotzifòjmmi) at àpidu relatzioni dereta – gai narant in manera curretta sos semitistas e àteros limbìstas allughidos – cun sa nàskida dessas tzitades, ki ant àpidu un’affuntzioni pivot in sas cunkistas imperiales. D’onzi illadiada dessa tzitade fiat cajone de illadiadura dessas cunkistas e dessa affortigadura de unu imperu, dai cue colaiat assa tzitade unu muntone de goddetas ki aiant a èssere rizistradas (“ministériu” dessas fenàntzias) e contivizzadas (“ministériu” dessu trisoru), unu muntoni de imbassiadas ki aiant a èssere ischritas, currespostas, dispatziadas cun messos a cadhu (“ministériu” de sos furisteris); e su matessi impériu aiat bisonzu de un’arretza biarza adhiada po su trùminu lestru dessos esértzitos, dessos carros, dessas mercantias (“ministériu” dessas cumunicassiones), et aiat bisonzu de unu esértzitu addestradu bene (“ministériu” dessa gherra).
Cun tzertesa sa Sardigna no at mai leadu parte a custu fenòmenu istòricu, no b’at partitzipadu attivamenti (si nono imbiandhe a su Faraone trumadas isciugaradas), e nemmancu passivamenti (ammostu: no at baliadu sa prineta dessa terra de Canaan, ki est istada semper rucrada dassas trumas imperiales).
Noantames, auntzat abbengu ki sa Sardigna siat abbarrada aggantzada assa temporada curturali de s’Oriente Afaca, cumpartzendhe fintza de su comentzu, e pa milli e mill’annos, sa matessi limba de base. Custu at permitidu a issa de assentare sighi-sighi e tènner bivu su propiu connottu, ki fiat mantesu da unu vocabolàriu de istampu sumeru-accàdicu, puru si custu siat istadu trassadu sigundu su devessu sentidu grammaticale e curturale dessu pòpulu sardu.
Dessa limba primitiva, dessa limba de s’Orìzini, dessa limba de su Primmu Paleolìticu, est diffìtzili a narre calche cosa (si nono cun abbistesa), essendhe possìbbile deduire su plancher petzi cun d’unu cunsideru etimològicu-antropològicu. Cumente si siat, nos podimus inditare s’orìzine arcàica de una paràula sarda candho – allucorados da s’etimologia sua – semus capatzos de deduire sos bisonzos primàrios de ue issa at àpidu vida. E tandho, pigamus a faghere s’anàlisi de calkeduna cun s’etimologia. Sas etimologias sunt allegadas in limba italiana po àere assumancu tres limbas de cuffrontu.
ÁLIGA. Una di queste etimologie è il camp. áliga, sass. aħa, centr. e log. arga ‘immondezza’. Tutti i linguisti la derivano dal lat. alga (il vegetale spiaggiato dal mare). Posizione ideologica e miope, fomentata dal fatto che i Romani consideravano inutile l’alga marina, chiamandola appunto alga inutilis. Indizio scientifico di nessun valore, questo, poiché, se gli antichi marcavano l’inutilità dell’alga, di converso marcavano l’utilità dell’immondezza, la quale veniva usata con sommo vantaggio nella concimazione dei campi. Quindi mancano le condizioni per creare un parallelo tra l’alga e l’immondizia, anche perché siamo soltanto noi, cittadini con stile di vita votato allo spreco, ad aver parificato e omologato arbitrariamente quegli antichi concetti e considerato inutili sia l’alga sia l’áliga.
Va ricordato l’uso degli antichi (compresi i Sardi) di accatastare i rifiuti familiari fuori della porta del villaggio o della città, nel luogo chiamato muntunággiu, muntronárzu. Si badi bene, lo chiamavano muntunággiu, non muntòni ‘mucchio, cumulo’ di qualsiasi cosa.
Wagner fa derivare muntòni dal lat. mons, montis, mentre invece l’origine è dal bab. mu’(ud)dû ‘(large) quantity; multitude’ < mâdu ‘diventare o essere molto numeroso’, ma’dû, madû ‘(large) quantity, wealth, abundance’. A tale termine si appose il sum. unu ‘sito’: = ‘sito dell’abbondanza’. Quanto a muntunággiu, ha la stessa base di muntò-(ni), da bab. mu’(ud)dû + sum. unu + akk. nâḫu ‘riposare’; il composto mu’(n)dû-nâḫu > muntunággiu significò ‘(sito del) riposo dell’abbondanza, riposo della ricchezza’. Infatti è principio noto, anche nelle moderne discariche, quello di far “riposare” i rifiuti per consentire la loro trasformazione in sostanze organiche utili alla concimazione (compostaggio).
Questo è il concetto che gli antichi avevano di s’áliga. Quanto alla sua etimologia, non deriva dal lat. alga ma dall’akk. ālu(m) ‘villaggio, città’ + ikû(m) ‘campo’ (stato costrutto āl-ikû) = ‘campo comunale’, ‘luogo comune di gettito’. Lo stato-costrutto sardo è capovolto rispetto a quello semitico. Va da sè che il concetto di áliga prese piede con le prime coltivazioni, ossia al finire del Paleozoico.
GANGA, Gangas ‘amigdalite o tonsillite’ dell’uomo e dei suini; è un altro lemma-guida. È anche cognome. Il duale sardo gangas è reduplicazione sumerica indicante totalità o, secondo i casi, pluralità: base nel sum. gan ‘l’essere incinta’, reduplicato in gan-ga = ‘due pance gravide’, ‘due gravidanze’. Si deve concedere che l’osservazione dei malanni dell’uomo risale all’inizio del linguaggio, ossia almeno a 100.000 anni fa.
MISCÈRA è cognome che fu un pers. maschile sardiano, con base nell’akk. mīšu ‘notte’ + erû(m) ‘aquila’, col significato di ‘aquila della notte’. Non c’è dubbio che i nomi personali sono antichi quanto è antica la civiltà: risalgono al Primo Paleolitico.
Di nomi (poi cognomi) di questo tipo è zeppo il mio volume I Cognomi della Sardegna.
MOLÍNU cognome che fu nome muliebre sardiano, con base nel sum. mul ‘brillare, irradiare luce’, ‘stella’ + inun ‘burro’: mul-inun, col significato di ‘burro radioso’ (ricorda l’epiteto ingl. honey). Il burro, prodotto primitivo derivato dal latte serenato, ha un’antichità risalente alla prima domesticazione dei bovini e degli ovini, la quale è ovviamente precedente l’agricoltura, poichè gli uomini del Paleolitico non si cibavano soltanto di cacciagione ma pure di allevamento.
MONAGHEDDU cognome che fu un nome muliebre sardiano, con base nell’akk. mû ‘ordine cosmico’ + nâḫu ‘immobile, tranquillo’ (di corpo celeste) + ellu ‘(ritualmente) puro’, col significato sintetico di ‘purissima stella fissa del firmamento’. Dal nome, si capisce che a quei tempi si distinguevano le stelle fisse da quelle mobili (i pianeti). Dire che certe osservazioni astronomiche sono documentate soltanto in epoca storica (i Caldei), significherebbe nascondersi dietro un dito, poichè le osservazioni primitive di questo tipo risalgono almeno all’inizio del Neolitico.
PORCHEḌḌÍNU, puχeḍḍínu agg. ‘bastardo, maccheronico’ (riferito al modo di parlare, al discorso); itariánu puχeḍḍínu ‘italiano maccheronico’, fabiḍḍà puχeḍḍínu (avverbio) ‘parlare in maccheronico’. Il termine non è registrato nei dizionari, anche perchè risulta ostico ai linguisti questo termine paronomastico riferito stranamente ai ‘maialetti’ (porcheḍḍus).
La base etimologica è l’akk. puḫḫu(m) ‘scambiare, sostituire’ < pūḫu ‘scambio, sostituzione’ + (w)ēdu(m) ‘singolo, solitario; hapax’: stato costrutto pūḫ-ēdu, col significato di ‘singola sostituzione (di vocabolo)’; vedi akk. pūḫizzaru ‘scambio equivalente’. Quindi itariánu puχeḍḍínu significa ‘italiano sostitutivo’ ossia parlato o letto sostituendovi una o alcune parole della lingua sarda.
Va da sè che questo aggettivo risale alla Prima Grande Koiné Linguistica, ossia al Primo Paleolitico. Erano i tempi in cui l’uomo cominciò a percepire meglio le proprie qualità foniche e cominciò a formulare vere e proprie parole per descrivere l’ambiente e le persone. Si deve ipotizzare che il linguaggio non ebbe inizio da un unico focus ma da vari centri sparsi per l’Eurasia. Ciò comportò il fatto che – per quanto i vari dialetti tendessero normalmente a convergere e contaminarsi a vicenda – ogni gruppo umano sviluppò in autonomia un proprio vocabolario peculiare. Furono però i contatti tra gruppi diversi, quell’importare divertito e curioso i vocaboli già forgiati da altri uomini, che portò in breve alla nascita dell’aggettivo mediterraneo pūḫ-ēdu > puχeḍḍínu. Il quale a quei tempi non aveva niente di spregiativo, anzi rendeva più importanti gli uomini che riuscivano a gestire disinvoltamente, mescolandolo al proprio, anche il lessico della tribù o del popolo contiguo. (…) “
Fonte: “Grammatica de sa Limba Sarda Prelatina”, Salvatore Dedola
[2.1 Sa Primma Manna Koiné Limbìstica; 2.2 Sa limba sarda primitiva]