Approfondimenti
Sant’Antonio e il Maiale, amici dalla Preistoria
Chi è e chi è stato – nei tempi – Sant’Antonio Abate, noto anche come Sant’Antonio il Grande, Sant’Antonio del Fuoco, Sant’Antonio del Deserto, Sant’Antonio l’Anacoreta?
Nella iconografia popolare e nelle leggende locali, il Santo eremita appare come protettore degli animali domestici e donatore del fuoco agli uomini (quindi è una caricatura medievale dell’antico Promèteo). É diffuso l’uso di accendere la sera del 16 gennaio dei grandi falò. La festa si svolge attorno al falò, o ad esso si collega: benedizione del fuoco, processione degli animali, balli e canti, banchetti comunitari, distribuzione di pane – spesso votivo – a parenti, amici, sacerdoti, poveri, persone di nome Antonio.
Nel documentario “Sardegna Tempio delle Acque” la questione intorno a Sant’Antonio è trattata all’interno del capitolo “I Profeti dell’Acqua”: più nel dettaglio, viene osservato nelle sue denominazioni sarde di “Sant’Antoni ‘e su Fogu” e “Sant’Antoni ‘e su Porcu”. Il linguista Salvatore Dedola racconta, in questo piccolo estratto del documentario:
«“Sant’Antòni ‘e su Porcu” è il santo, cristiano attualmente, che inaugura il Carnevale. “Su porcu”: poi ne parlerò del porco, perchè il porco era l’effigie del Dio della Natura. Questo “Sant’ Antòni” ce l’abbiamo in accadico: “šatû(m) + antu”. Tutte le volte che troviamo il termine “Santu”, in Sardegna, dobbiamo sempre interpretarlo come “šatû” (che significa “bere”, in accadico) a cui viene aggiunta una “m” o una “n” per eufonia. Abbiamo, da lì, il “Santo”: la trasformazione del “bere” in una santità cristiana. Santu “antu”: “antu” è la “spiga di orzo”, per cui “Santu Antu” era “colui che dava da bere all’ orzo”. Parlo di “orzo” perchè l’orzo fu il primo cereale piantato all’inizio del Neolitico. Addirittura fu, di sicuro, piantato anche nel Mesolitico. Per cui è chiaro che è una parola di estrema antichità, che vuole conservare la tradizione dell’epoca. “Sant’Antòni” non è altro che il Dio della Natura in persona, che faceva crescere, faceva bere le spighe dell’orzo».
Perchè Sant’Antonio è accompagnato, in particolare, dal maiale o dal cinghiale? Sempre Salvatore Dedola, questa volta nel suo libro “Monoteismo Precristiano in Sardegna”, propone una riflessione considerando
« (…) la teoria antropologica di James George Frazer [ Il ramo d’oro, cap. XLIX, paragrafi 2-3-4]. Egli ricorda che gli Egizi sacrificavano una volta all’anno il maiale al dio Osiride, poiché il maiale, il cinghiale, incarnava lo spirito del grano: in definitiva, il suino fu, alle origini, il Dio della Natura. Il rapporto tra il cinghiale e il Dio della natura è noto: Adone viene ucciso da un cinghiale, e sprofonda agli Inferi, da cui risorge ogni anno. Il frigio Attis viene ucciso da un cinghiale, e anch’egli ogni anno muore e risorge insieme alla Natura. Oggi in Sardegna abbiamo il Santo del Carnevale, ossia S. Antonio, che si accompagna a un maialino. Anche S. Antonio scende all’Inferno, ed inaugura i riti del Carnevale, i quali altro non sono che i riti di propiziazione della Primavera, della rifioritura della Natura. In realtà, il maiale, il cinghiale, fin dal Paleolitico fu identificato tout court col Dio della Natura, e nei miti tramandati dalla storia troviamo il Dio-e-il-maiale talora affiancati, talora contrapposti in un rapporto di morte-e-resurrezione. Perché tanta considerazione per il maiale, per il cinghiale? La risposta si ha osservando le abitudini dei cinghiali all’arrivo delle piogge: le foreste, il loro habitat, vengono grufolate in modo parossistico. Talora interi chilometri quadrati vengono “arati” (dipende dalla densità della presenza suina), con profondità che vanno dai 20 ai 50 cm. Agli antichi quel furioso rimestio delle zolle non passò inosservato, e fu proprio da tali “arature” che inventarono l’aratro, imitando la bestia che rendeva fertili immensi territori senza bisogno della fatica umana. Già Eudosso, astronomo e matematico greco, si era accorto che gli Egizi non risparmiavano il maiale per avversione, anzi: quando le acque del Nilo si erano ritirate, mandavano nei campi i branchi dei maiali, i quali “aravano” tutto. (…) Ecco perché oggi vediamo S. Antonio affiancato amorevolmente (non ucciso) dal maialino ».
Dedola prosegue l’approfondimento; in questo caso parte dagli studi dell’antropologa Dolores Turchi sulle peculiari pratiche di divinazione tutt’oggi in uso tra le donne sarde, passando attraverso lo strato greco per arrivare alle (già citate) origini semitiche. Ecco come ne risulta coinvolto Sant’Antonio:
« Dolores Turchi [ Maschere, miti e feste della Sardegna 235-36 ] tratta il tema delle donne sarde praticanti la divinazione, chiamate deìnas, orassionàglias, brùscias. Riporto uno stralcio del suo discorso, da cui occorre partire per impostare l’etimologia. “La deina vede e consulta i morti, come nell’oracolo di Efira, o sente voci o ha delle visioni, come in quello di Lebedea, oppure osserva segni particolari quando sibila il vento o stormiscono le fronde degli alberi e osserva il movimento degli uccelli o degli insetti che vi si posano, come nell’oracolo di Zeus a Dodona, oppure trae i suoi pronostici dai sogni rivelatori, come nel santuario di Asclepio ad Epidauro. Da segni particolari, da gesti, da parole udite, le deine, dopo aver fatto le loro orazioni ad una misteriosa triade che spesso è un abbinamento di santi cancellati dal calendario perché inesistenti, oppure attraverso nomi misteriosi che nulla hanno a che fare con la religione cristiana, traggono i loro pronostici. Più spesso accompagnano la loro divinazione con preghiere apparentemente cristiane, ma che sono una chiara copertura dell’antico rito pagano. Ma loro non lo sanno. Sono profondamente e sinceramente convinte che ciò che fanno non sia per nulla in contrasto con la religione cristiana… Il santo più invocato è S. Antonio. È lui che risolve quasi tutti i loro problemi. È il santo che rivela loro dove si trovano gli oggetti smarriti o rubati, che indica con segni particolari l’autore di un furto. È lui il santo guaritore che allontana le malattie dal corpo degli uomini e degli animali. Associato al numero tredici è potentissimo”. Oltre a sant’Antonio, le deìnas invocano pure sant’Antioco (santu Antiógu) e santu Iaccu. “Quando invocavano san’Antonio, sant’Antioco e santu Iaccu, non sapevano certo che tutti e tre questi nomi erano gli epiteti cristianizzati del Dioniso dai mille nomi: Iacco era il giovane dio che compariva al sesto giorno dei misteri eleusini. Antioco e Antonio hanno la medesima radice di Anteo, altro nome di Dioniso per il quale si celebravano le Antesterie, la festa dei fiori”. Questa bella presentazione della Turchi va emendata dalla credenza che i Misteri Eleusini siano stati di casa in Sardegna in quanto tali. Infatti i Misteri della Sardegna ebbero uno stampo peculiare, che possiamo chiamare latamente mediterraneo nella misura in cui anche i Misteri greci organizzarono, mutatis mutandis, le proprie peculiarità entro un paniere mediterraneo. Misteri simili, quindi, ma non identici. In Sardegna imperarono i misteri di Adone (vedi anche Mascazzu). Resta splendidamente in piedi l’intuizione della Turchi secondo la quale i tre nomi di santi non sono altro che epiteti cristianizzati di più antiche divinità; ma è la base linguistica dei tre nomi che va cambiata, non essendo greca ma semitica. Infatti santu Antòni è la paronomasia di un composto sardiano basato sull’akk. šatû(m) ‘bere’ + antu ‘spiga d’orzo’. Quindi Sant’Antòni non è altro che il Dio della Natura, colui che in età arcaiche veniva invocato per far piovere sull’orzo appena seminato al solstizio d’inverno ».