Approfondimenti
SARDO, LATINO E INFLUSSI SUCCESSIVI
“Sintetizzo quanto precisato nei paragrafi precedenti: i Sardi, nei secoli anteriori alla prima invasione (risalente al 238 a.e.v., essendoci da discutere sull’ipotesi che i cugini Punici abbiano invaso la Sardegna), furono un popolo libero. Non solo, parteciparono da posizioni paritarie al commercio mediterraneo; quindi parteciparono da co-protagonisti alla civiltà mediterranea, e parteciparono attivamente ai fenomeni linguistici che si erano affermati durante una lunghissima temperie culturale di (almeno) 7-10000 anni nel Mediterraneo e in tutto il Vicino Oriente. Quei fenomeni linguistici furono condivisi dai Sardi. Cominciando coi Sumeri, passando per Ebla, Accad, Ninive, Babilonia, gli Aramei, gli Ugaritici, i Fenici, gli Ebrei, la Sardegna, s’instaurò nel Vicino Oriente e nel Mediterraneo centro-occidentale, persino in gran parte della penisola italica, una Grande Cenòsi Linguistica, resa inossidabile dal prestigio dei Mesopotamici che avevano inventato la scrittura. Per capire quanto fosse importante l’influsso semitico nella lunga storia preromana del Mediterraneo, basta osservare che persino gli Hittiti (un popolo indoeuropeo) usarono la scrittura accadica, mentre nei loro riti «il sovrano e la classe dirigente, pur seguendo una religione loro propria, usarono sempre il sumerico come linguaggio della liturgia. Per le trattative diplomatiche venne adoperata correntemente la lingua accadica».
La Sardegna partecipò a tal punto di tale Cenosi, che ancora oggi questa costituisce lo “zoccolo duro” della lingua sarda parlata.
Una volta indebolita (non esaurita!) la Grande Cenosi Semitica, s’instaurò nel Mediterraneo occidentale la Grande Cenosi Latina, che nel lasso di 700 anni direttamente (in seguito indirettamente, mercè il Papato) ha introdotto o sostituito nella lingua sarda un buon 10% di vocaboli, plasmando inoltre qualche forma grammaticale e sintattica. Il presente lavoro tiene conto della lingua latina, laddove è evidente che possa avere influenzato la lingua sarda. Per note ragioni storiche e archeologiche, qusto lavoro ha invece poca considerazione verso l’influsso (diretto o indiretto) dei Greci in Sardegna, mentre considera operante la presenza dei Bizantini (specialmente attraverso il clero), per quasi 400 anni nell’Alto Medioevo.
La Cenosi Latina diede gradatamente il passo, dopo circa sette secoli, alla formazione delle lingue neolatine, che dall’esterno influenzarono poco la Sardegna, la quale fu principalmente influenzata dall’antico e recente italiano, molto meno dalle lingue iberiche. Il popolo sardo nell’Alto Medioevo produsse una evoluzione sostanzialmente autonoma del proprio linguaggio. Il presente lavoro tiene comunque conto sia degli influssi esterni sia di questo fenomeno interno, nella misura in cui possano avere operato sulla lingua sarda attuale. Ricordo che pure la Corsica e buona parte della penisola italiana fu influenzata dalla Grande Cenosi Linguistica Semitica. Ciò, ovviamente, avveniva prima che la potenza romana unificasse l’Italia.
Ho potuto constatare che i vocaboli italici da me classificati come prelatini in questo e in precedenti lavori, da altri studiosi sono stati purtroppo indagati soltanto in base alla lingua latina ed a quelle germaniche: tali studiosi hanno proceduto secondo la propria preparazione, la quale verte esclusivamente sulle lingue indoeuropee. Nei dizionari etimologici italiani infatti non ho trovato quasi nessun vocabolo che venga intenzionalmente confrontato dagli etimologi con quelli apparsi in passato nella Mezzaluna Fertile.
Un altro fenomeno connesso a questo è che i termini prelatini presenti nella penisola italica, condivisi spesso dalla lingua sarda, sembrerebbero stranamente sortire dal ventre della lingua italiana nel tardo Medioevo, non prima. Ciò è logicamente inaccettabile: se quei vocaboli sono prelatini (e lo sono), e se sono spariti dall’uso durante l’Impero romano, bisogna chiedersi perchè riappaiano soltanto con la fioritura dei dialetti volgari, anzi addirittura dopo secoli dall’inizio di tale fioritura.
Al riguardo, la già citata osservazione di Dante nel De Vulgari Eloquentia è illuminante. In realtà sono i linguisti ad affermare la presenza di tali vocaboli solo da un certo periodo, non da prima. Questa procedura cela un errore metodologico: i linguisti, nella ricerca etimologica sulla lingua italiana, si soddisfano del periodo in cui un testo italico è stato scritto. E credono di aver terminato, con ciò stesso, l’indagine. Ad essi basta stabilire la data, l’anno in cui apparve il tale testo volgare, e quella data viene sancita (quasi fosse un parto miracoloso) come momento dell’invenzione di quel vocabolo. E, quasi scusandosi col fatto che il dialetto è analizzabile soltanto su qualcosa di scritto, non s’azzardano a confrontare quei testi dialettali con le parlate viventi, dalle quali, se avessero voluto, avrebbero potuto avere maggiori conforti, utili raffronti, più sussidi interpretativi circa le dinamiche diacroniche. Se avessero scavato nei dialetti viventi, certamente molti vocaboli con etimologia semitica sarebbero stati evidenziati e datati prima del tardo Medioevo, moltissimi secoli prima, persino due-cinque millenni prima. Aiutano in ciò i documenti scritti (i vocabolari semitici): perché non sfogliarli? Il metodo d’indagine dei filologi romanzi (e degli indoeuropeisti) la dice lunga su quanto sia arretrata e zoppa, in Italia, la ricerca delle origini, obnubilata com’è dalla cultura fascistizzante degli addetti, educati a credere ciecamente che la civiltà italiana, e con essa la lingua italiana, sorse con l’Urbe, e che prima, durante e dopo l’Impero, i popoli italici non avessero lingue o dialetti degni di essere indagati e confrontati tra di loro ed a più largo raggio. Invece è chiaro che gran parte dei lemmi appartenuti alla Grande Cenosi Linguistica Semitica, di cui è zeppa la Sardegna, la Corsica e l’Italia, sono stati quasi tutti in uso fin dalla notte dei tempi, anche se è vero che una certa (bassa) percentuale di parole riapparve dal Medioevo in poi, poiché è proprio con la formazione delle lingue volgari che il popolo si riappropria dell’antico linguaggio rimasto vivo allo strato popolare, mettendo finalmente in non cale buona parte dei lemmi latini che si erano imposti durante l’Impero per via colta, burocratica, amministrativa.
Il lavoro condotto nel presente libro è critico a riguardo degli errori metodologici qui evidenziati, poiché essi sono tali da minare alla radice tutti i lavori di etimologia sin qui prodotti sulla lingua italiana ed i suoi dialetti, e pure sulla lingua sarda. Attualmente, gli studiosi di lingua sarda antica s’appagano dello strato dei condághes, le cui registrazioni cominciano ad apparire nell’XI secolo. Dal loro canto, questi etimologisti, consci che dal 1050 (o comunque dalla prima delle due carte volgari scritte in caratteri greci dalla fine del X sec.), giù giù fino allo strato romano classico, mancano documenti diretti, fanno un volo nel vuoto assoluto di 700 anni, lasciandosi planare sullo strato latino. E fin qui il metodo sarebbe accettabile (l’ho già affermato in altra parte del libro), se non fosse guastato dalla tara culturale che fa credere il latino la vera base della lingua sarda.
Se gli etimologisti riconoscono valido il metodo del “salto nel vuoto” verso lo strato latino, perché credono inaccettabile un ulteriore “salto nel vuoto” fino a toccare le prime apparizioni del linguaggio, specie se da queste sortiscono migliaia di lemmi uguali (spesso identici) a quelli sardi? Peraltro, chiamarlo “ulteriore salto nel vuoto” è metodicamente scorretto. Anzi, a cominciare dallo strato romano in giù, sono proprio le lingue semitiche a presentare una sequenza storica ininterrotta (documentata rigorosamente da testi di ogni sorta e registrata nei vari dizionari semitici) sino allo strato sumerico. Quindi l’unico “salto nel vuoto” si fa soltanto partendo dai condághes e dalle Carte Greche e planando sul latino.”
Fonte: Grammatica della Lingua Sarda Prelatina, Salvatore Dedola
[2.11 La Terza Koiné Linguistica Mediterranea e gli influssi successivi]