Approfondimenti
Templari in Sardegna

L’Ordine dei Templari ( i “Poveri compagni d’armi di Cristo e del Tempio di Salomone”): quali furono la portata e i limiti della loro presenza e della loro azione in Sardegna? Come interagirono con la presenza “politica” degli altri Ordini religiosi? Riportiamo l’ipotesi di Massimo Falchi Delitala, in alcuni brani tratti dal suo libro “I Templari nei Giudicati Sardi”:
I. LA PRESENZA TEMPLARE IN SARDEGNA
I presupposti.
(…) La presenza degli Ordini Religiosi e Militari (Religioni Militari) nel mondo medievale era certamente legato alla strutturazione feudale della società civile e delle forme istituzionali di reggimento degli Stati. Indubbiamente uno Stato moderno non avrebbe potuto tollerare la presenza di corpi separati al suo interno, organismi sociali e religiosi ma anche militari, finanziari ed infine politici. Corpi che, nello stato feudale, si interponevano fra autorità statale centrale e cittadino, attenuando per un verso il debole potere della prima e per altro verso alla stessa si sostituivano assicurando la continuità della presenza statuale.
Ed infatti i motivi per i quali la Corona francese perseguì e ottenne lo scioglimento dell’Ordine, non furono certo legati alla cupidigia e avidità di Filippo il Bello, re di Francia, come talvolta si afferma.
In realtà la Corona stava intraprendendo allora una lotta secolare con i poteri intermedi dello stato feudale e con il clero, per giungere all’edificazione dello stato nazionale sotto la forma costituzionale della monarchia assoluta.
E la necessità di ingenti mezzi finanziari derivava esclusivamente dal bisogno di mantenere una nascente burocrazia statale borghese che doveva sostituirsi ai poteri locali feudali nell’amministrazione della cosa pubblica.
In tale prospettiva l’Ordine del Tempio costituiva un grave ostacolo. Era uno stato nello stato, con una milizia stabilmente in armi (la migliore dell’epoca) diffusa su tutto il territorio nazionale, sottoposto alla sola autorità del pontefice, ed, in Provenza, era stretto alleato della nobiltà feudale locale, i cui maggiorenti erano i principali oppositori del progetto accentratore della Corona.
La presenza degli Ordini militari religiosi è connessa alla natura stessa dello Stato feudale, che dalla loro esistenza, specie in quanto eserciti stabili e non legati alla leva militare feudale (quella dovuta dal vassallo al suo signore), trasse spesso indubbi vantaggi in Oriente come in Occidente.
In tale prospettiva alcune peculiari caratteristiche dell’organizzazione statuale dei quattro regni sardi, influenzarono grandemente le modalità dell’insediamento templare, per molti versi limitandone l’estensione e l’importanza.
Caratteristiche di organizzazione statuale che d’altra parte più generalmente limitarono l’azione di tutti gli Ordini militari medievali in Sardegna.
L’azione di tali Ordini si concretizzava, nell’Occidente europeo, sostanzialmente in: a) funzioni di polizia rurale e viaria; b) raccolta di fondi e propaganda per le crociate; c) assistenza ospitaliera; d) intermediazione finanziaria; e) azione militare (esclusivamente nella penisola iberica per combattervi gli Arabi).
Il tutto avveniva in coerenza con le strutture dello stato feudale, nell’ambito del quale godevano di esenzioni e franchigie (dipendevano perlopiù direttamente dal pontefice) essendo spesso feudatari e castellani. (…)
II. L’AZIONE DEI TEMPLARI IN SARDEGNA
Templari e Provenzali in Sardegna.
(…) L’insediamento nell’Isola di religiosi stranieri non avvenne pacificamente. La presenza di Ordini religiosi stranieri determinò la reazione dell’elemento chiesastico indigeno, poichè non solo la presenza dei conventi (non sottoposti alle giurisdizioni religiose locali) limitava il potere dei vescovi e del clero minuto, ma inoltre consolidava in Sardegna il rito latino in un mondo di tradizioni ecclesiali ancora fortemente greche.
I Sardi si vedevano esclusi dall’attribuzione di nuovi benefici e talvolta chiese (e le rendite connesse) venivano tolte al clero sardo per costituire la dotazione di corpi religiosi stranieri.
Inoltre nel 1054 si verificò lo Scisma d’Oriente del patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario, e i religiosi greci, piuttosto che consegnare i luoghi di culto al clero latino, preferivano trasferirne il possesso, quando possibile, ai giudici ed ai majorales sardi ricorrendo alla charistikiòn rimettendo in tal modo nelle mani di questi la disponibilità di prebende e monasteri che, non passando sotto il controllo della gerarchia ecclesiastica locale, furono poi costituite spesso in dotazioni degli Ordini regolari.
In alcuni casi la tensione fra religiosi giunse anche a provocare scontri violenti, come ad esempio a Sedini e a Nulvi, ove il clero locale, guidato dal vescovo di Ampurias, estromise con la forza i religiosi cassinesi dai loro possessi.
Ed a fianco dell’ostilità del clero locale sorgeva anche la rivalità fra gli stessi Ordini religiosi stranieri già insediati, basti pensare alla lotta tra religiosi pisani e provenzali per lo sfruttamento delle saline di Cagliari.
I motivi per i quali gli Ordini religiosi iniziarono la loro opera in Sardegna paiono essenzialmente politici: di apertura di mercati commerciali all’inizio, ed anche di influenza diplomatica in seguito. Questi infatti costituivano il punto di riferimento per i commercianti loro connazionali ed un centro di irradiazione di influenza politica. Così gli Ordini religiosi presenti in Sardegna appartenevano principalmente a quelle zone del continente europeo che potevano avere dei benefici economici e politici da una loro influenza nell’Isola: essi sono infatti toscani, liguri e provenzali (Marsiglia è il porto principale della Provenza).
Nè si può affermare che gli Ordini religiosi furono introdotti dai sovrani sardi prevalentemente per ragioni di miglioramento agrario o di incivilimento culturale. Nel 1182 il giudice Barisone d’Arborea doveva infatti raccomandare espressamente (evidentemente essendo nota la normale mancanza di cultura dei religiosi) che il superiore dell’Ordine inviasse “monachos, ex quibus tres vel quattuor… litterati” e le terre che venivano date ai religiosi, ben lungi dall’essere abbisognevoli di dissodamento o irrigazione, erano sempre fra le migliori e le più produttive.
I sovrani sardi usavano (o subivano) insomma la presenza degli Ordini religiosi principalmente come elemento di manovra di politica internazionale rimanendo le altre eventuali conseguenze della loro presenza, seppur importanti, accessorie.
Tale contesto trovarono i primi cavalieri del Tempio, che giunsero in Sardegna, e dovettero rendersi da subito conto delle necessità di collegamenti ed alleanze per rendere più sicura la loro presenza. I naturali alleati dei Templari dovevano essere i Cistercensi. Ma per una speciale contingenza politica e geo-economica, i Templari dovettero verosimilmente ritenere necessario stringere anche alleanza con i monaci del convento di San Vittore di Marsiglia, se anche non furono questi a chiamare nell’isola i primi cavalieri. La presenza templare nella Provenza era infatti profondamente radicata tanto da creare un intreccio di interessi e di stretti rapporti con la classe dirigente feudale locale. I Templari inviavano i rifornimenti per la Terrasanta dai porti di Nizza, Biot e Tolone. In questa città possedevano due stabilimenti nel “Carrero del Templo”, ottenendo il privilegio impensabile in altri porti, di aprire portali nella cinta muraria del porto per poter meglio effettuare le operazioni di carico.
Nel 1216 i Templari ottennero di poter costruire navi e tenerle nel porto di Marsiglia ove, nel 1234, godettero il privilegio di essere esentati dal pagamento del dazio per il carico delle loro navi due volte all’anno. I Templari residenti nel settentrione della penisola iberica si servivano usualmente del “passaggio di agosto” gratuito, per inviare merci in Palestina, e spesso i cavalieri lucravano sui loro privilegi accettando sulle loro navi merci di mercanti marsigliesi che così evadevano il dazio della loro città.
Esisteva un saldo legame fra le famiglie feudali provenzali e l’Ordine. Tale circostanza derivava dal fatto che molti cavalieri provenivano dalla contea di Provenza, poichè il diritto di successione operava in maniera differenze nei paesi di Lingua d’Oil ed in quelli di Lingua d’Oc (come la Provenza), favorendo in questi ultimi la diffusione delle vocazioni templari con la creazione di una inquieta piccola nobiltà. Fenomeno d’altronde noto anche sul continente italino, ove la piccola nobiltà feudale senza diritto alla successione (cadetti) forniva una cospicua leva militare per l’Ordine.
La Provenza era inoltre il principale centro di resistenza alle pretese di espansione ed accentratrici della monarchia francese, e la nobiltà feudale accarezzava da tempo un progetto di reale indipendenza e grandezza nazionale , cui supporto poteva essere una alleanza con l’Ordine del Tempio. Questo, d’altra parte, iniziava a percepire che, con il progressivo indebolimento della presenza occidentale in Palestina, sarebbe venuta meno prima o poi una base territoriale per le proprie attività, e che pertanto doveva prendere in considerazione qualche soluzione alternativa che assicurasse all’Ordine una certa autonomia operativa. Si propettava la possibilità di costituire una entità statale provenzale-templare. I Templari, così come i Teutonici della Prussia Orientale e gli Ospedalieri a Cipro, accarezzavano l’idea di uno stato indipendente templare-provenzale, che contemperasse le esigenze dell’ Ordine e della feudalità locale.
Sul continente, dunque, i Templari erano i principali alleati della nobiltà provenzale, con la quale quasi si identificavao poichè molti di loro da quel ceto provenivano. In provenza godevano pertanto di eccezionali privilegi commerciali (che spesso irritavano la locale borghesia) frutto di una politica di alleanza con il conte di Provenza, ed un coordinamento tra le strategie di presenza nell’Isola era pertanto obbligato, poichè in gran parte comuni erano gli interessi.
I Provenzali contavano, forse, di avvalersi, e non solo nelle città, nella protezione militare, e nell’appoggio diplomatico e finanziario dell’Ordine, la cui capacità di influenza politica ed economica – grandissima a Marsiglia, Montpellier ed in tutta la regione – era forse sopravvalutata dai Vittorini in relazione alla complessa realtà politica e diplomatica sarda.
D’altro canto l’Ordine, che tentava tardi l’inserimento nella società isolana , non poteva che avvantaggiarsi dal più diffuso insediamento urbano ed extra urbano provenzale e principalmente dalla produzione del sale che, nel giudicato di Cagliari, era monopolio dei Vittorini. Nell’ambito della loro influenza nel giudicato, i Vittorini (ed i mercanti provenzali e marsigliesi a questi collegati) ottennero infatti la concessione, “non si sa se amichevole o forzata”, dello sfruttamento delle saline dal giudice di Cagliari Costantino (morto nel 1203). E d’altra parte i monaci di San Vittore avevano grandi interesse nell’estrazione e nel commercio di tale minerale dopo che erano entrati in possesso delle saline di Marsiglia avute in donazione in parte dall’arcivescovo della città ed in parte dal visconte Folco e dalla moglie Odile.
Il sale era infatti una merce di fondamentale importanza per la conservazione dei viveri e per sopperire alle conseguenze della eccessiva sudorazione durante le marce nei deserti e forse fu uno dei motivi principali di presenza Templare in Cagliari.
Gli stabilimenti marsigliesi, a contrario di quelli genovesi e pisani, non avevano d’altra parte il sostegno politico e diplomatico di una madre patria nazionale che svolgesse nello scacchiere sardo una propria politica internazionale. E la mancanza di tale sostegno assumeva un significato decisivo, poichè le repubbliche italiane erano al contrario attive e operavano sulla base di un globale progetto di presenza nel cui ambito – si fronteggiavano, anche militarmente, come potenze internazionali – avevano come obiettivo l’esclusione di ogni altro concorrente dall’Isola. In particolare Pisa, evidentemente approfittando di tale debolezza intrinseca della posizione provenzale, aveva come scopo della sua politica, specie nel giudicato cagliaritano di “diminuire il prestigio dei Vittorini, occupare le saline, avere il controllo dei traffici da soli”. In questa ottica, la alleanza con i cavalieri del Tempio avrebbe potuto sopperire, almeno parzialmente, a questa mancanza di “copertura” politica e militare. E forse, grazie a questo appoggio templare, i Marsigliesi poterono consolidarsi specie nelle città.
La presenza vittorina era infatti diffusa non solo su tutto il territorio, ma anche in particolar modo nei centri commerciali come Cagliari, Oristano, Bosa e Alghero. Così nel giudicato di Cagliari i Vittorini, in stretto contatto con la loro casa madre e con la classe mercantile della Provenza, avevano assunto una posizione talmente preponderante “da impedire che nel cagliaritano prosperasse altra casa religiosa”. Allo stesso modo in Oristano i Marsigliesi potevano nominare i propri consoli e godevano di privilegi ed esenzioni doganali simili a quelle delle potenze italiane, così a Bosa i pescatori marsigliesi godevano di particolari privilegi nella raccolta del corallo.
In Cagliari l’ordine dei Vittorini di Marsiglia aveva il possesso di due fiorenti conventi ed il privilegio di sfruttamento delle locali saline.
Dunque la presenza dei monaci vittorini “avait entrainé nécessariement des relations dans la Provence et la Sardaigne”, relazioni che, in quanto commerciali e finanziarie, non potevano non implicare un cointeressamento dell’Ordine del Tempio, che già partecipava alla vita economica della contea occitana. I porti provenzali erano essenziali per i collegamenti con la Terrasanta e la naturale posizione geografica della Sardegna imponeva la necessità di una presenza templare negli scali sardi, funzionali alle rotte marsigliesi per l’Oriente. In particolare Cagliari era un importante centro di raccordo con il lontano priorato vittorino di Giblet in Oriente. Ed è logico supporre che l’Ordine del Tempio si avvalesse di questo particolare canale di comunicazione tra i cavalieri sardi e quelli in Palestina, posto anche il potere e l’influenza che questi ultimi potevano esercitare sui Vittori di Giblet, lontani dalla Casa Madre e dipendenti da Templari ed Ospitalieri per la loro stessa incolumità personale.
Possiamo anche individuare un esempio di stretta collaborazione fra Vittorini e Templari nel sito di Santa Maria de su Templu. Questa chiesa, la cui pertinenza all’Ordine del Tempio appare ovvia, era una proprietà del convento di San Saturno in Cagliari, allora retto dai monaci provenzali. Nell’ambito di una più generale collaborazione, questa chiesa ci dà un esempio di come Templari e Provenzali si accordarono al fine di meglio assicurare la percezione, in favore dei Marsigliesi, delle rendite di stabilimenti lontani dalla loro sede principale (percezioni forse ostacolate dal clero locale). Dunque la chiesa, pur permandendo di proprietà e pertinenza dei Vittorini di Marsiglia, era officiata e presidiata, dai cavalieri del Tempio. La dedicazione al Tempio, infatti, appare essere comparsa nel periodo vittorino della chiesa, che prima era dedicata a Santa Maria de Ghippi. La chiesa di Santa Maria de su Templu era ubicata, nella curatoria di Gippi, circa due chilometri a sud-est di Decimoputzu. Poichè la dedicazione (come nel caso di quella di Trempu in agro di Ghilarza Abbasanta) ci rivela la frequentazione templare del sito, possiamo ritenere tale chiesa un valido esempio della collaborazione fra l’Ordine del Tempio ed i Provenzali nell’Isola. Certamente alla chiesa era annesso uno stabilimento rurale i cui prodotti e rendite formavano oggetto di condominio fra i due Ordini. È probabile che la presenza templare si fosse resa necessaria per assicurare il godimento di tali rendite insidiate dal clero locale. La chiesa cessò certamente di essere officiata dai Templari con lo spossessamento del convento di San Saturno e la cacciata dei Marsigliesi.
I Vittorini di San Saturno avevano anche il possesso della chiesa di Sant’Efisio di Nora. Tale luogo di culto era oggetto di grande pellegrinaggio e di venerazione, in quanto vi erano sepolte le salme dei Santi Efisio e Potito. Indubbiamente il possesso di tale sito implicava per i Provenzali problemi sia in ordine alla rivalità del clero locale che doveva certo malsopportare la presenza straniera in un luogo di culto così importante, sia di tutela dell’edificio, poichè in occasione di grande concorso di folla potevano venir meno le usuali condizioni di sicurezza pubblica. È probabile, ma è solamente un’ipotesi, che anche nel sito dedicato al santo guerriero, i Templari abbiano svolto un ruolo di sostegno alla presenza marsigliese.
“I Templari nei Giudicati Sardi”, Massimo Falchi Delitala, pagg. 11-13, 23-30.
Sui Vittorini vedi anche:
http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2011/12/chiese-romaniche-dei-monaci-vittorini.html