Approfondimenti
Da Tesla a Bohm, oltre il “mondo delle ombre”
Da Platone a Tesla, Bohm, Gödel, Schroedinger, de Broglie, Whitehead: il superamento del dualismo.
Un centinaio di anni fa, Nikola Tesla diede nuova linfa al concetto di Akasha in un contesto scientifico moderno. Egli affermò che vi è un “veicolo originale” che riempie lo spazio e lo comparò all’Akasha , l’etere portatore di luce. Nel suo documento mai pubblicato “Man’s greatest achievement” [La più grande conquista dell’uomo, 1907], Tesla scrisse che questo veicolo, una sorta di campo di forza, diviene materia quando il Prana, l’energia cosmica, agisce su di esso; quando la sua azione cessa, la materia svanisce e ritorna all’Akasha . I fisici del Novecento rifiutarono di prendere in considerazione qualsiasi concetto di etere, veicolo o campo di forza che riempisse lo spazio. L’intuizione di Tesla fu screditata e cadde quindi nell’oblio. Ma oggi viene ripresa in considerazione. David Bohm, Harold Puthoff e un piccolo ma crescente gruppo di scienziati sta riscoprendo il ruolo di un campo che collegherebbe e creerebbe la coerenza (rete): nel cosmo, nel mondo vivente e anche nella sfera della mente e della coscienza. Questo campo coerente e soggiacente non si trova al di fuori della natura: è il cuore stesso della natura. Esso è il terreno da cui traggono origine tutte le cose dell’universo e anche la loro destinazione definitiva. Si tratta del veicolo fondamentale del cosmo. Esso soggiace a tutte le particelle, a tutte le forze e a tutti i campi che governano le particelle e i sistemi costruiti sulle particelle, nel lo spazio e nel tempo (la Grande Madre che abbraccia tutte le cose). La scienza non gli ha ancora dato un nome definitivo: è chiamato il vuoto quantico (noto anche come “vuoto unificato” o “nuether”) o olocampo (quinta essenza degli alchimisti).

Nikola Tesla
La crisi del determinismo della fisica classica e l’avvento della fisica quantistica
La scienza, mettendo in crisi i principi della fisica classica con l’avvento della fisica quantistica, già da tempo ha dovuto accettare la fine del determinismo e del dualismo, avvicinandosi in modo sorprendente alla metafisica tradizionale.
All’inizio del 1900, la scienza credeva di aver quasi raggiunto il termine della ricerca della Realtà; ogni fenomeno dell’universo fisico era stato accuratamente descritto secondo la rigida formula deterministica di causa ed effetto. Ogni fenomeno della natura poteva essere ridotto a piccole porzioni di materia rigidamente descrivibili secondo la meccanica di Newton (meccanica classica). Esistevano, però, due importanti fenomeni che non potevano in alcun modo essere spiegai con le leggi della meccanica classica. Uno era l’effetto fotoelettrico; l’altro, l’irradiazione del corpo nero, chiamato ironicamente “la catastrofe ultravioletta”. Fu senz’altro una catastrofe, perché segnò la prima profonda incrinatura nella struttura concettuale del dualismo scientifico. Il problema riguardava l’irradiazione di energia da alcuni corpi termici: i dati sperimentali non coincidevano in alcun modo con le correnti teorie della fisica. Esso fu risolto dall’intelligenza di Max Planck che, in un vero e proprio lampo di genio, suggerì l’ipotesi che l’energia non fosse continua come sempre si era creduto, ma che si propagasse in quantità discrete o quanti; fu un colpo mortale per il dualismo scientifico. Albert Einstein utilizzò con successo la teoria di Planck nello studio delle reazioni fotoelettriche (il secondo fenomeno che non obbediva alle leggi della fisica classica), mentre Niels Bohr la applicò alla fisica subatomica. Louis de Broglie, mettendo a frutto gli sviluppi di queste ricerche, dimostrò che non solo l’energia, ma anche la materia produce onde. Ciò condusse Edwin Schroedinger a formulare la sua monumentale meccanica quantistica. Tutto nel breve spazio di appena una generazione (prima della seconda guerra mondiale). Queste incredibili scoperte culminarono nell’inevitabile, quanto devastante conclusione: il Principio di Indeterminazione di Heisenberg , le cui conseguenze furono, e sono ancora, incalcolabili. Questo principio (1927), relativo al campo della “meccanica quantistica”, dice che maggiore è la precisione della misura della velocità di un elettrone, minore sarà la precisione della misura della sua posizione, e viceversa; questo perché, misurando la velocità, si modifica la traiettoria della particella e, quindi, la sua posizione e viceversa. Lo scienziato è obbligato a scegliere quale misura effettuare con precisione, a scapito dell’altra. La misurazione non è, dunque, un processo neutrale, ma incide sui risultati cui mira; vi è un’interazione tra osservatore (“scienziato”) e sistema osservato (“realtà fisica”) e, perciò, non si può più considerare il mondo esterno come indipendente dall’individuo che lo esplora. L’indagine di tipo dualistico si spinse coerentemente fino al mondo della fisica subatomica, all’interno del quale si cercarono di definire e misurare con esattezza “particelle” come gli elettroni. Questi avrebbero dovuto plausibilmente rivelarsi gli ultimi, irriducibili elementi di cui era composta la natura. Ma qui sorse un “insormontabile” problema. Misurare qualunque cosa richiede l’uso di strumenti, ma l’elettrone ha un peso così piccolo che qualunque strumento, anche “leggero” come un fotone , otteneva il risultato di fargli cambiar posto proprio nel momento in cui si tentava di misurarlo! Non si trattava di un problema tecnico, ma della trama stessa in cui era tessuto l’universo. I fisici avevano raggiunto il punto limite e le premesse che li avevano condotti fin lì (“l’osservatore è un’entità separata; è possibile interagire con l’universo senza per questo modificarlo”) divennero insostenibili. Fu quindi introdotto il concetto di “Campo” d’energia. Mentre considerando la materia in modo meccanico (due palle che si scontrano) posso stabilire con certezza il fenomeno (determinismo), se considero la materia come una forma di energia concentrata, in continua interazione con altra materia-energia, debbo studiare il tutto, l’insieme, il “Campo”. Il determinismo della fisica classica entra in crisi e i fenomeni che accadono vanno visti in interazione tra loro, anche con l’osservatore.
Soggetto e oggetto si rivelarono profondamente interdipendenti e tutte le teorie che avevano presupposto qualcosa di diverso necessariamente crollarono. Haldane mormorò: “L’universo è non solo più strano di quanto supponiamo, ma anche di quanto siamo in grado di supporre”. L’impossibilità di definire con esattezza le “realtà ultime” dell’universo venne matematicamente provata con il Principio di Indeterminazione di Heisenberg e segnò la fine dell’approccio classico ed esclusivamente dualistico alla realtà. Il matematico Whitehead dichiarò: “ Il progresso scientifico ha raggiunto il punto di svolta. Le solide fondamenta della fisica sono crollate. I vecchi princípi del pensiero scientifico stanno diventando incomprensibili. Tempo, spazio, materia, materiali, etere, elettricità, meccanismo, organismo, struttura, modello, funzione: tutto dovrà essere reinterpretato. Che senso ha parlare di spiegazione meccanica quando non si sa cosa intendere per meccanica?” Louis de Broglie, che da parte sua aveva svolto un ruolo importante nella “rivoluzione dei quanti”, ne descrisse l’effetto catastrofico notando che: “il giorno in cui i quanti vennero furtivamente introdotti, il vasto e grandioso edificio della fisica classica fu scosso alle fondamenta. In tutta la storia del mondo intellettuale sono stati pochi i mutamenti radicali paragonabili a questo”. La rivoluzione dei quanti si rivelò catastrofica perché, non limitandosi ad attaccare una o due conclusioni della fisica classica, ne distrusse la pietra miliare, la base su cui si ergeva l’intero edificio, e cioè il dualismo soggetto/oggetto.
Appariva adesso ben chiaro ai fisici che misurazione e verifica oggettiva non potevano più essere considerate prove di realtà assoluta, perché l’oggetto misurato non era mai completamente separato dal soggetto che lo misurava a quel livello essi erano una cosa sola. Circa nello stesso periodo in cui la “ rigida cornice ” del dualismo scientifico crollava in fisica, il giovane matematico Kurt Gödel (allora venticinquenne) stava scrivendo un trattato che è rimasto sicuramente il più incredibile nel suo genere. Esso si ispirava ad una logica analoga a quella del Principio di Indeterminazione di Heisenberg. La sua parte centrale è conosciuta oggi con il nome di “Teorema di Incompletezza di Gödel” , ed è la rigorosa dimostrazione matematica di come qualunque sistema logico abbia almeno una premessa che non può essere provata o verificata senza che si producano delle contraddizioni. Così: “ è impossibile stabilire la coerenza logica di un sistema deduttivo complesso senza presupporre dei principi la cui coerenza logica è altrettanto dubbia di quella del sistema stesso ”. Ogni volta che l’universo si divide in soggetto e oggetto, in chi vede e ciò che viene visto, qualcosa deve sfuggire. In tali condizioni l’universo elude sempre in parte se stesso. Nessun sistema di osservazione può osservare se stesso mentre osserva. Chi vede non può vedere se stesso nell’atto di vedere. Ogni occhio ha un punto cieco. Proprio per questo, alla base di ogni tentativo dualistico di conoscenza troviamo soltanto Indeterminazione, Incompletezza! Alla base del mondo fisico, il Principio di Indeterminazione; alla base del mondo mentale, il Teorema di Incompletezza – lo stesso divario, lo stesso universo che elude se stesso.

Jiddu Krishnamurti e David Bohm
L’abbandono del dualismo
La fisica quantistica aveva spinto il dualismo mente/materia fino al punto dell’auto-annientamento, nel quale esso era rimasto inghiottito. Il fondamentale dualismo soggetto/oggetto non era più sostenibile e questo non per l’opinione arbitraria di un particolare gruppo di filosofi, ma per l’autorevole conclusione raggiunta dai fisici. Bronowski riassume gli aspetti essenziali della relatività quando dice che: “ La relatività deriva essenzialmente dall’analisi filosofica, la qua le afferma che non esiste la realtà e chi la osserva, ma l’unione dei due nell’atto di osservare, osservato ed osservatore non sono separabili”. Ed Erwin Schroedinger, fondatore della meccanica quantistica, dichiara senza mezzi termini: “Soggetto e oggetto sono una cosa sola. Non è possibile dire che la barriera tra loro sia stata abbattuta in seguito alle recenti scoperte della fisica, perché tale barriera non è mai esistita”. Le conclusioni che è possibile trarre dalle scoperte della rivoluzione quantistica sono numerose; addirittura così numerose, che la maggior parte dei filosofi moderni utilizza il Principio di Indeterminazione di Heisenberg e la Meccanica Quantistica di Schroedinger per dimostrare le teorie in cui di volta in volta crede. Prenderemo in considerazione quindi solo la conclusione proposta da questi due fisici. La conclusione di Heisenberg è chiara: fin dall’inizio ci troviamo coinvolti nella controversia tra natura ed uomo, nella quale la scienza gioca solo una parte; la comune divisione del mondo in soggetto e oggetto, mondo interno e mondo esterno, corpo ed anima, si rivela inadeguata e ci crea delle difficoltà. Edwin Schroedinger è completamente d’accordo e aggiunge semplicemente: “Queste difficoltà non si possono certo evitare, a meno che non si abbandoni il dualismo”. L’abbandono del dualismo era stato proprio la principale conquista della nuova fisica. Oltre a rinunciare all’illusoria divisione tra soggetto e oggetto, onda e particella, mente e corpo, mentale e materiale, la nuova fisica (con il brillante contributo della relatività di Albert Einstein) aveva abbandonato il dualismo spazio/tempo, energia/materia, e perfino spazio/oggetti. L’universo è fatto in modo tale che, come commentò Niels Bohr, l’opposto di un’affermazione vera è un’affermazione falsa, ma l’opposto di una verità profonda di solito è una verità altrettanto profonda. Ricordiamo il commento di Schroedinger che non si può abbattere la barriera tra soggetto e oggetto, perché essa non è mai esistita. Come fronte e retro non sono che modi diversi di vedere un solo corpo, così soggetto e oggetto, psiche e soma, energia e materia, sono due modi diversi di avvicinarsi ad una sola realtà. Se non si comprende questo e si insiste a porre gli “opposti” l’uno contro l’altro per cercare di capire quale dei due sia “veramente” reale, ci si condanna all’eterna frustrazione di dover risolvere un problema senza capo né coda. Il biofisico L.L. Whyte spiega: “Così la mente immatura, incapace di sfuggire alla propria pregiudiziale preferenza verso il permanente anche quando affronta gli aspetti mutevoli dell’esperienza, non riesce a riconoscere la forma effettiva del processo di sviluppo ed è condannata a dibattersi nella camicia di forza dei soliti dualismi: soggetto/oggetto, tempo/spazio, spirito/materia, libertà/necessità, libero-arbitrio /legge. La verità, che dev’essere una, è imprigionata nelle contraddizioni. L’uomo è incapace di capire dove si trova, perché a partire da un mondo solo ne ha creati due”. È proprio nel dualismo di creare due mondi a partire da uno che l’universo si divide, mutilandosi e diventando “ falso a se stesso ”, come dice G. Spencer Brown. E il punto d’inizio per “creare due mondi a partire da uno” è, sempre, l’illusione dualistica che il soggetto sia fondamentalmente distinto dall’oggetto. Il superamento di questa illusione è stato il risultato più importante di 300 anni di ricerca scientifica tenace e coerente. Di fatto, l’inadeguatezza di una conoscenza di tipo dualistico poteva essere riconosciuta soltanto ammettendo la possibilità di un altro approccio conoscitivo alla Realtà, un approccio che non richiedesse la separazione tra conoscitore e conosciuto, tra soggetto e oggetto. Eddington si è espresso così al riguardo: “Esistono due tipi di conoscenza, che io chiamo conoscenza simbolica e conoscenza intima… Le forme tradizionali di pensiero si sono sviluppate esclusivamente intorno alla conoscenza simbolica. La conoscenza profonda non si lascia codificare o analizzare; piuttosto, quando tentiamo di analizzarla, l’intimità si dilegua e viene sostituita dal simbolismo”. Eddington chiama la seconda modalità di conoscenza “intima”, perché in essa il soggetto e l’oggetto sono intimamente uniti. Appena nasce il dualismo fra soggetto e oggetto, “ l’intimità si dilegua e viene sostituita dal simbolismo ” e ci ritroviamo nel fin troppo noto mondo della conoscenza analitica. Dunque, la conoscenza simbolica è per sua natura dualistica. Conoscenza simbolica è qui da intendersi non nel senso esoterico-iniziatico, che invece tende a superare il dualismo, ma in senso profano. Poiché la separazione tra soggetto e oggetto è illusoria, la conoscenza simbolica che ne consegue è anch’essa, in un certo senso, illusoria. Seguiamo ancora Eddington: “ Nel mondo della fisica siamo spettatori di un gioco di ombre. L’ombra del mio gomito riposa sull’ombra del tavolo , e l’ombra dell’inchiostro scorre sull’ombra della carta… Uno dei progressi più significativi fatti di recente consiste nell’aver compreso che la fisica ha a che fare con un mondo di ombre”. Commentando questo passo, Edwin Schroedinger ha scritto: “Vi prego di notare che, se abbiamo fatto dei progressi recentemente, non è certo perché il mondo della fisica sia diventato oggi un mondo di ombre; lo è stato infatti, fin dai tempi di Democrito e oltre, ma allora non ne eravamo consapevoli; credevamo di avere a che fare con il mondo reale”.
La realtà è più profonda al di là del dualismo
La fisica e tutte le maggiori discipline intellettuali d’Occidente, avendo adottato il procedimento dualistico di conoscenza, non studiavano il mondo reale, quanto piuttosto le rappresentazioni simboliche di tale mondo. Questo sapere dualistico e simbolico rappresenta al contempo la genialità e il punto cieco delle scienze e della filosofia; esso permette di ottenere un’immagine altamente sofisticata ed analitica del mondo, ma le immagini, anche se illuminanti e dettagliate, restano sempre immagini. Korzybski, padre della semantica moderna, esemplifica bene questo fatto, descrivendo ciò che egli chiama rapporto “mappa/ territorio”. Il “territorio” è una porzione effettiva di mondo, mentre una “mappa” è un sistema di annotazioni simboliche che rappresenta ed esprime vari aspetti del territorio. Ovviamente la mappa non è il territorio: nessuno si sognerebbe di prendersi una vacanza a Miami guardando l’atlante. Esistono, tuttavia, mappe assai più sottili, per esempio il linguaggio che usiamo tutti i giorni; anche se non sono particolarmente ingannevoli, come dice Schroedinger, il problema nasce non appena ci dimentichiamo che la mappa non è il territorio, quando cioè confondiamo i simboli della realtà con la realtà stessa. Il fisico Sir James Jeans spiega: “Come la nuova fisica ha dimostrato, tutti i sistemi precedenti, dalla meccanica newtoniana alla vecchia teoria quantistica, hanno commesso l’errore di scambiare l’apparenza per la realtà; hanno limitato la loro attenzione ai muri della caverna (mito della caverna di Platone), senza rendersi conto della realtà più profonda al di là di essa”. Avvicinarsi alla “realtà più profonda” non significa altro che scoprire il territorio da cui hanno origine tutte le nostre mappe. Proprio qui, però, risiede la difficoltà, perché si tratta non tanto di elaborare una mappa simbolica più dettagliata, autentica o accurata (più “scientifica”, insomma) quanto piuttosto di scoprire una via al territorio che non richieda alcuna mappa, per lo meno temporaneamente. La conoscenza dualistico-simbolica quindi non è sufficiente né valida, perché ciò che si richiede è, al contrario, una conoscenza non simbolica, non dualistica o, come dice Eddington, una conoscenza intima della realtà, che vada al di là dei simboli della scienza. Ricordiamo l’importantissimo risultato della ricerca di Heisenberg, di Schroedinger e di Einstein: la struttura della realtà è tale che soggetto e oggetto, conoscitore e conosciuto non sono separabili. Per comprendere profondamente la realtà, è necessaria una modalità di conoscenza che con la realtà sia compatibile, ossia un tipo di conoscenza che non separi artificialmente il soggetto che conosce da ciò che viene conosciuto. Schroedinger pensava proprio a questa modalità non duale di conoscenza quando affermò che “ Il mondo è dato una sola volta. Nulla si riflette. L’originale e l’immagine allo specchio sono identici ”; e altrove quando disse: “ Tutto questo (cioè la filosofia occidentale moderna) è stato costruito accettando come punto di partenza la tanto venerata distinzione tra soggetto e oggetto. Per quanto sia necessario accettarla nella vita di ogni giorno, per avere un ‘punto di riferimento pratico’, credo che dovremmo abbandonarla in sede filosofica ”. Abbiamo così a disposizione due modalità essenziali di conoscenza. Come abbiamo visto, la scienza in generale iniziò il proprio cammino utilizzando mappe simboliche e dualistiche, lavorando cioè “sulle ombre” ; con il progresso della fisica, tuttavia, questo genere di sapere fu stimato insufficiente, perché prometteva la conoscenza del Reale, ma non permetteva di raggiungerla. Questo limite fece nascere la necessità di avvicinarsi alla seconda modalità di conoscenza, cioè quella “ intima ” o non duale. Si tratta di due modalità universali, che sono state in un modo o nell’altro riconosciute in varie epoche e vari luoghi della storia dell’umanità: dal Taoismo a William James, dal Vedanta ad Alfred North Whitehead, dallo Zen alla teologia cristiana. Un gran numero di scienziati, filosofi, psicologi e teologi … ha tratto una conclusione unanime e inequivocabile, che soltanto attraverso la modalità non duale sia possibile raggiungere la “ conoscenza della Realtà ”.
Estratto da “La metafisica, filosofia prima e sue relazioni con la fisica quantistica” di Fabrizio Bartoli. Testo integrale: qui la prima parte e qui la seconda parte.